È solo con la scorsa stagione che è approdato sul palcoscenico genovese il repertorio operistico barocco, poco visto qui da noi, poco sentito, in genere poco conosciuto e oggi invece grande protagonista nei maggiori teatri europei; l'anno scorso era il "Furioso" di Vivaldi, ora abbiamo Händel e il suo capolavoro "italiano", il "Giulio Cesare in Egitto", dramma per musica in tre atti su libretto di Haym, uno dei gioielli teatrali nel genere, dall'intensa forza drammatica, la superba scrittura vocale e la magistrale arte compositiva.
Esordisce domani sera al Carlo Felice (ed è l'unica opera di Händel in cartellone in Italia, quest'anno, diamo atto della scelta coraggiosa di respiro europeo) dopo un'assenza di 34 anni del compositore operistico dalle nostre scene, in un allestimento (Gran Teatre del Liceu di Barcellona e Teatro di Basilea) che prevede una regia, quella di Herbert Wernicke, tra le più discusse negli ultimi anni, ma di grande impatto, questo senza dubbio.
«All'inizio ero titubante - dice il direttore Diego Fasolis, vero esperto del repertorio - non solo perché la regia è particolare, una vera e propria rielaborazione, direi, con aggiunte e tagli, ma anche per motivi tecnici: le dimensioni del Carlo Felice, ad esempio
io sono abituato a spazi ristretti, con piccoli insiemi di strumenti originali. Ma devo dire la verità, avere a disposizione l'orchestra intera mi entusiasma, tirare fuori più suono non può che giovare all'insieme dell'opera; non sono un integralista
pensate che sto organizzando uno spettacolo di musica barocca con strumenti rock!».
Un cast di giovani debuttanti del ruolo, ma specialisti del barocco, che - neanche a dirlo - sono noti ed apprezzati nei teatri esteri e un'orchestra, la nostra, che con grande entusiasmo ha accolto la produzione. La scenografia scarna, tutta basata su un gioco di specchi tipicamente barocco, fa da sfondo a queste figure possenti, eroi ed eroine con le sorti del mondo in mano, ma qui animate anche da irrefrenabili passioni umane, studiate nelle più delicate sfumature psicologiche, che il genio musicale di Händel dipinge con un'arte davvero perfetta, unendo il contrappunto per tradizione "aulico" e astratto all'azione. Risultato? Una storia di concrete pulsioni all'interno di una sublime impalcatura armonica.
Tutto questo in cinque ore di musica, intervalli e spuntino per il pubblico compresi, naturalmente. Una bella e ardua prova per il pubblico genovese? E vediamo non si sa mai che per il nostro Händel la sentenza finale non sia proprio un bel "Veni, vidi, vici"!
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