Citigroup Il via libera alla semi-nazionalizzazione fa crollare i titoli

Il Tesoro americano presta ancora soccorso a Citigroup, costretta dal drammatico stato dei propri conti ad accettare di diventare una banca semi-nazionalizzata. Nell’aria da giorni, l’accordo è stato reso ufficiale ieri: la quota della banca nelle mani dello Stato passa dal 25 al 36% attraverso la conversione fino a 25 miliardi di dollari (contro i 40 miliardi in suo possesso) di titoli privilegiati in azioni ordinarie. L’obiettivo del governo è duplice: rafforzare la base patrimoniale dell’istituto, che non pagherà dividendi e dovrà rivedere la composizione del consiglio direttivo; mantenere la quota privata maggioritaria rispetto a quella federale, così da non configurare l’intervento come una vera e propria nazionalizzazione.
Il contribuente Usa, più volte chiamato a collaborare negli ultimi mesi al salvataggio del sistema finanziario, non dovrà questa volta mettere mano al portafoglio, ma la reazione di Wall Street nei confronti del gruppo guidato da Vikram Pandit è stata durissima, con i titoli crollati a fine seduta del 42,28%. La mossa dell’amministrazione Obama si tradurrà in una forte diluizione delle quote in mano agli azionisti (il prezzo di conversione è di 3,25 dollari contro i 5 chiesti in precedenza) e amplifica i timori di un conseguente dietrofront da parte di alcuni investitori privati. Per la verità, il fondo sovrano Government of Singapore Investment Corporation, che nel gennaio 2008 era entrato in Citi acquistando 6,88 miliardi di dollari di azioni privilegiate, ha già fatto sapere che imiterà il Tesoro Usa. All’iniziativa hanno anche aderito altri investitori, tra cui il principe saudita Al Waleed, Capital Research Global Investor e Capital World Investors.
L’intervento federale lascia tuttavia insoluto l’interrogativo se Citi avrà in futuro ancora bisogno di risorse fresche. «Non so se avremo bisogno di nuovi capitali», ha ammesso ieri il direttore finanziario, Gary Crittenden. A esprimere dubbi se questo sia stato davvero «l’ultimo round di ristrutturazione» è del resto Goldman Sachs.

Da qui l’invito della merchant bank agli investitori a evitare l’acquisto di titoli del gruppo bancario, i cui conti sono disastrosi. La perdita del quarto trimestre ha superato i 17 miliardi, mentre quella per l’intero esercizio ha raggiunto quota 27,7 miliardi.

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