La città cambia volto? Bisognerà vedere come...

Pietro Samperi*

Il rumore che ha accompagnato la conclusione di un’altra tappa della travagliata vicenda del nuovo Prg è un’ulteriore dimostrazione della superficialità (per non dire altro) con la quale si affrontano oggi anche i problemi più seri. Avevo scritto pochi giorni fa su queste pagine che questo Piano non era recuperabile, ma che non era il caso di fare ostruzionismo alla delibera di controdeduzioni alle osservazioni, giacché il Piano stesso non era neppure meritevole di ciò. Le mie opinioni al riguardo sono confortate da quelle analoghe di tanti illustri colleghi, di ogni tendenza ideologica, espresse però, il più delle volte, soltanto... a “quattr’occhi”. Leggo invece, anche su queste pagine (martedì scorso), in un resoconto a firma di Michela Giachetta, una certa soddisfazione anche da parte di qualche settore dell’opposizione, per aver ottenuto modifiche alquanto risibili. Chi si contenta gode. Condivido il titolo “la città cambia volto”. Bisognerà vedere come. Ma vorrei sottolineare come in questo Piano non si riesca a individuare un solo contenuto capace di qualificarlo con una “idea forte”, come era lo Sdo nel Piano del l962. Si era tentato con il policentrismo, ma i centri sono posti così a casaccio da ricavarne un effetto contrario. Si è stati così costretti a ripiegare su un aspetto che, se anche fosse vero, non avrebbe alcuna incidenza sui meriti del Piano. Ma non è neppure vero che dal 1909 Roma non ha avuto più un Piano regolarmente approvato. Lo fu quello del 1931 (a meno che non si voglia cancellare la storia e la legislazione di quel periodo) e, soprattutto, quello del 1962. Questo non solo non fu approvato definitivamente da un Commissario prefettizio, come riportato erroneamente anche su queste pagine, ma quel Commissario si sottrasse perfino ad adottarlo con la sua firma, facendo correre alla città un gravissimo vuoto normativo, risolto, brillantemente ma provvisoriamente, dal ministro dei Ll.Pp. Sullo con un decreto legge, poi, definitivamente, con una regolarissima adozione del Consiglio comunale dopo 6 mesi, seguita 3 anni dopo dal decreto di approvazione del Presidente della Repubblica. A proposito di procedure, si dovrebbero, piuttosto, citare i gravissimi ritardi e le vicissitudini della elaborazione di un nuovo Piano, avvenute soprattutto durante la gestione di diverse giunte di sinistra, praticamente a partire dal 1976. La Regione approverà il Piano, che non è neppure più facilmente modificabile e che, per assicurare almeno una minima base normativa, è meglio che niente.

Ho già espresso più volte il parere che occorra restituire serietà all’urbanistica e che non sia sufficiente correre solo dietro a qualche modifica che riguarda problemi contingenti, pur se di immediato impatto politico, ma che occorra affrontare una buona volta temi più complessi, pregiudiziali per il futuro della città, impostati sulla considerazione fondamentale che il suo assetto non si possa più concludere soltanto all’interno dei suoi confini comunali, ma nella più ampia area metropolitana, con strumenti tali da coinvolgere anche quel territorio che fa ormai parte integrante dell’organizzazione e della vita quotidiana di Roma Capitale. Questa responsabilità coinvolge direttamente anche la Regione e la Provincia.

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