Le città ripartano da un cucchiaio il terzincomodo 2

di Giovanni Terzi

Era il 1953 quando l'architetto Ernesto Nathan Rogers formulò lo slogan «dal cucchiaio alla città» per rappresentare nella Carta di Atene l'approccio utilizzato nella progettazione da un architetto milanese. Quella frase a più di sessant'anni di distanza appare così attuale ma così lontana nella sua declinazione. Il significato profondo che l'architetto Rogers voleva esprimere non era riguardo ad un tipo di cucchiaio né, riferibile ad una città specifica; era piuttosto l'essenza dell'essere architetto, quell'essenza che spesso oggi appare dimenticata.
Da una parte il cucchiaio che rappresenta il massimo dell'ergonomia essendo lo strumento che per antonomasia aiuta l'uomo in una funzione primordiale come il mangiare; dall'altra parte la città che pur essendo un sistema di funzioni complesse dovrebbe porre al centro sempre l'uomo. Nelle nostre città si compongono sempre di più fatti così eterogenei che appare spesso la figura dell'architetto costretta a fare i conti più con la costruzione di una forma piuttosto che il soddisfare una funzione.
Così negli anni si sono costruite città impersonali, dove il sedime storico di quartieri veniva sottoposto a stravolgimenti compositivi che avevano più la funzione di rappresentare l'estro e l'ego dell'archistar di turno piuttosto che quella di rispondere a delle vere e proprie esigenze abitative.
In questa costante schizofrenia dove nelle nostre città storiche si sono esibiti pseudo architetti artisti, il design si è salvato rimanendo fermo alla sua più profonda funzione di servizio. Così una luce serve per far vedere meglio, le sedie hanno l'obiettivo di essere sempre comode ed ergonomiche, le cucine devono sempre di più essere funzionali così che il prodotto finale di design nasce ancora adesso dalla ricerca dal giusto e corretto equilibrio tra forma e funzione ponendo sempre l'uomo come obiettivo finale del progettare.
Un industrial design fatto di arte, artigianato, creatività e impresa in un connubio che ci rende ancora fieri di essere Italiani. Non altrettanto accade per l'architettura dove troppo spesso famosi architetti internazionali s'impadroniscono della nostra storia per lasciare un segno riconoscitore simile in tutte le parti del mondo.
È l'International Style che globalizza e riduce l'architettura ad un prodotto fine a se stesso dove gli uomini si ritrovano ad essere non più soggetti principali della costruzione della loro casa ma oggetti sempre più anonimi inseriti nelle nuove città.

Forse per questo, alla vigilia dell'apertura del salone del mobile, sarebbe necessario riflettere su quella profonda interazione che l'oggetto cucchiaio aveva nei confronti del soggetto uomo riportando i valori dell'abitare e del costruire a quella genuina artigianalità di cui il nostro paese è campione.

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