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Cl, don Giussani sarà beato Così lo raccontò il Pontefice

L'omelia di Ratzinger ai funerali nel 2005: "La sua grande lezione fu non confondere la fede con il moralismo". Il popolo di Cl lo vuole sugli altari: "Santo subito"

Cl, don Giussani sarà beato  Così lo raccontò il Pontefice
Cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,«i discepoli al vedere Gesù gioirono». Queste parole del Vangelo ora letto ci indicano il centro della personalità e della vita del nostro caro don Giussani. Don Giussani era cresciuto in una casa – come dice – povera di pane, ma ricca di musica, e così dall’inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza e non si accon­tentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita, e così ha trova­to Cristo, in Cristo la vera bellezza, la stra­da della vita, la vera gioia.

Già da ragazzo ha creato con altri gio­vani una comunità che si chiamava Stu­dium Christi; il loro programma fu di par­lare di nient’altro se non Cristo, perché tutto il resto appariva come perdita di tempo. Naturalmente ha saputo poi su­perare l’unilateralità, ma la sostanza gli è sempre rimasta, che solo Cristo dà sen­so a tutto nella nostra vita, sempre ha te­nuto fisso lo sguardo della sua vita e del suo cuore verso Cristo. Ha capito in que­sto modo che il cristianesimo non è un si­­stema intellettuale, un pacchetto di dog­mi, un moralismo, ma che il cristianesi­mo è un incontro, una storia di amore, è un avvenimento. Questo innamoramen­to in Cristo, questa storia di amore che è tutta la sua vita era tuttavia lontana da ogni entusiasmo leggero, da ogni roman­ticismo vago; realmente, vedendo Cri­sto, ha saputo che incontrare Cristo vuol dire seguire Cristo, che questo incontro è una strada, un cammino, un cammino che attraversa – come abbiamo sentito nel salmo – anche la «valle oscura». E nel Vangelo, nel secondo Vangelo abbiamo sentito proprio l’ultimo buio della soffe­renza di Cristo, della apparente assenza di Dio, dell’eclisse del Sole del mondo. Sapeva che seguire è attraversare una «valle oscura», vuol dire andare sulla via della croce, e tuttavia vivere nella vera gioia. Perché è così? Il Signore stesso ha tradotto questo mistero della croce, che in realtà è il mistero dell’amore, con una formula nella quale si esprime tutta la re­altà della nostra vita. Il Signore dice: «Chi cerca la sua vita, vuol avere per sé la vita, la perde e chi perde la sua vita, la tro­va ». Don Giussani realmente voleva non avere per sé la vita, ma ha dato la vita, e proprio così ha trovato la vita non solo per sé, ma per tanti altri. Ha realizzato quanto abbiamo sentito nel primo Van­gelo: non voleva essere un padrone, vole­va servire, era un fedele servitore del Vangelo, ha distribuito tutta la ricchez­za del suo cuore, ha distribuito la ric­chezza divina del Vangelo, della quale era penetrato e, servendo così, dando la vita, questa sua vita ha portato un frutto ricco come vediamo in questo mo­mento, è divenuto realmen­te padre di molti e, aven­do guidato le persone non a sé, ma a Cri­sto, proprio ha gua­dagnato i cuori, ha aiutato a mi­gliorare il mon­do, ad aprire le porte del mondo per il cielo. Questa centralità di Cristo nella sua vi­ta gli ha dato anche il dono del discerni­mento, di decifrare in modo giusto i se­gni dei tempi in un tempo difficile, pieno di tentazioni e di errori, come sappiamo. Pensiamo agli anni ’68 e seguenti,un pri­mo gruppo dei suoi era andato in Brasile e qui si trovò a confronto con questa po­vertà estrema, con questa miseria. Che cosa fare? Come rispondere? E la tenta­zione fu grande di dire: adesso dobbia­mo, per il momento, prescindere da Cri­sto, prescindere da Dio, perché ci sono urgenze più pressanti, dobbiamo prima cominciare a cambiare le strutture, le co­se esterne, dobbiamo prima migliorare la terra, poi possiamo ritrovare anche il cielo. Era la tentazione grande di quel momento di trasformare il cristianesi­mo in un moralismo, il moralismo in una politica, di sostituire il credere con il fare.

Perché, che cosa comporta il crede­re? Si può dire: in questo momento dobbiamo fare qualcosa. E tutta­via, di questo passo, sostituen­do la fede col mo­ralismo, il credere con il fare, si cade nei particolarismi, si perdono soprattutto i criteri e gli orientamenti, e alla fine non si costruisce, ma si divide. Monsignor Giussani, con la sua fede imperterrita e immancabile, ha saputo, che anche in questa situazione, Cristo, l’incontro con Cristo rimane centrale, perché chi non dà Dio, dà troppo poco e chi non dà Dio, chi non fa trovare Dio nel volto di Cristo, non costruisce, ma distrugge, perché fa perdere l’azione umana in dogmatismi ideologici e falsi, come abbiamo visto molto bene.

Don Giussani ha conservato la centra­lità di Cristo e proprio così ha aiutato con le opere sociali, con il servizio necessa­rio l’umanità in questo mondo difficile, dove la responsabilità dei cristiani per i poveri nel mondo è grandissima e urgen­te.

Chi crede deve attraversare – abbia­mo detto – anche la «valle oscura», le val­li oscure del discernimento, e così anche delle avversità, delle opposizioni, delle contrarietà ideologiche che arrivavano fino alle minacce di eliminare i suoi fisi­camente per liberarsi da questa altra vo­ce che non si accontenta del fare, ma por­ta un messaggio più grande, così anche una luce più grande.

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