Ventotto gennaio 2005. Francesco Pastoia si impicca con il lenzuolo alle sbarre della finestra della sua cella dove era in isolamento. Il cadavere di Pastoia fu trovato alle 6.05 da una guardia carceraria appena entrata in turno, vale a dire solo cinque minuti dopo lultimo controllo nel quale tutto era apparso regolare. Francesco Pastoia era uno dei più stretti collaboratori di Provenzano, fino al punto di dichiarare a un amico «di essergli legato col cuore». «È a Pastoia che si deve - la gestione della latitanza del superboss, della sua salute, degli affari, segni inconfondibili della profonda devozione dei confronti del padrino», spiegano gli psicoterapeuti Franco Di Maria e Giorgio Falgares. I due studiosi (esattamente come gli inquirenti) ritengono che una delle possibili chiavi del suicidio sia da ricondurre allimpossibilità da parte del Pastoia di sopportare i pesanti sensi di colpa successivi alla pubblicazione delle intercettazioni, nelle quali, senza sapere di essere ascoltato, ricostruisce ad un amico (e quindi anche alle forze dellordine) lorganizzazione della cosca, svelandone di fatto i segreti. Da qui la decisione di farla finita, per espiare una colpa che - di fatto - aveva portato allarresto di tutti i membri del clan. Insomma, con quel suicidio è come se Pastoia avesse urlato al mondo mafioso: «Scusate, ho indebolito la nostra organizzazione. Per pagare questa responsabilità il carcere non basta, devo morire...».
Esattamente la stessa dinamica che ha portato al suicidio anche Tanino Lo Presti.
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