Colombo e Varisco, uno spazio da far vivere

Per la serie «Maestri a Milano» la Rotonda della Besana ospita le opere di due protagonisti della cosiddetta «arte cinetica»

Colombo e Varisco, uno spazio da far vivere

Miriam D’Ambrosio

È il bianco a dominare, a indicare l'assolutezza dello spazio. Colore astratto e tangibile, percorribile, abitabile, all'interno della mostra milanese dedicata a Gianni Colombo e Grazia Varisco, due artisti, figli di questa città. Le loro opere sono esposte alla Rotonda di via Besana fino al prossimo 26 marzo. Si tratta di due esposizioni (una produzione di Palazzo Reale all'interno della rassegna «Maestri a Milano» avviata nel 2003), cammini paralleli di un uomo e una donna protagonisti della cosiddetta «arte cinetica» e «ottica» che abbraccia l'arco di tempo dal dopoguerra agli anni Settanta.
Un percorso che lega Varisco e Colombo, uniti anche nella comune esperienza che fecero all'interno del «Gruppo T» (nato a metà degli anni Sessanta e attento all'arte interattiva). Qui, alla Rotonda, le opere di Gianni Colombo sono annunciate come «il dispositivo nello spazio» (questa parte della mostra è stata curata da Marco Scotini), mentre i lavori di Grazia Varisco sono riuniti con il titolo «Se guardo ascolto lo spazio» (è stata Jaqueline Ceresoli a occuparsi di lei).
Il percorso nel mondo artistico di Grazia è a ritroso: si parte dai «Silenzi» del 2005 e si arriva fino alle «Tavole Magnetiche» che chiudono gli anni Cinquanta e aprono i Sessanta. I suoi silenzi sono spazi geometrici in nero e bianco che ricordano le forme di Mondrian, che evocano un'ansia del vuoto e tutta la tensione che comunica. Un vuoto da riempire, agire, luogo che è un non-elemento, in cui passare, da attraversare. E queste azioni soltanto lo spettatore le può compiere. Stando lì, nell'opera d'arte stessa, come dentro un'architettura disabitata che accoglie, un luogo dove sostare per poi andarsene, uscire, e restituirlo alla sua forma di contenitore possibile.
Il pubblico in visita diventa protagonista, viaggia tra limiti e percezione di spazi reali e immaginari nello stesso tempo, ed è elemento vivo e partecipe in grado di mutare lo spazio in cui si sposta.
Varisco ama la quotidianità e ribalta le grandi e piccole geometrie, gioca, si lascia ossessionare dalla «piega» come nel «Cartonlibro», cartone quadrettato simile a una griglia che esorcizza l'idea di imperfezione (la piega è anche questo, ma è comunque movimento).
Spazio fisico dilatato in Gianni Colombo, concentrato fino alla fine (è scomparso nel 1993) sul rapporto corpo e percezione dell'ambiente.
Il bianco ghiaccio delle sue composizioni è dominante, come nella «Bariestesia» del 1975 e nei pilastri sparsi come presenze mute.
Spazio da possedere per Colombo. Spazio da ascoltare per Varisco.
Corpo e mente. Ma è il corpo il fulcro all'interno dell'opera. Sempre e per entrambi.

Il mutamento, gli studi sul movimento di Marcel Duchamp, la geografia di corpo umano e spazio che cambia, con l'impiego di luci, di flash che illuminano a tratti, inquietano, destabilizzano, cambiano le prospettive. Interazione totale in questi cammini speculari organizzati anche per i bambini delle elementari, accompagnati ad attraversare luoghi concepiti per essere «violati» dalla presenza, come teatri.

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