Com’erano eleganti i nostri nobili antenati

Un libro sontuoso «Genovesi in posa - Appunti sulla ritrattistica tra fine Seicento e Settecento» di Daniele Sanguineti. In parallelo al percorso pittorico, «Volti scolpiti», un saggio di Mariangela Bruno sui ritratti in marmo dell'élite genovese dell'epoca.
Non a caso l'aggettivo sontuoso, che ci restituisce l'abbigliamento di nobili, dame, dogi e alti prelati, le acconciature sia nelle parrucche come in elementi di moda quale il torchon, capigliatura delle dame raccolta di lato e in voga dagli anni Ottanta del Seicento. Tra altre mode quella del «moretto» che nel ritratto di dama (fig. 66, forse di Giovanni Andrea Delle Piane) ci ridà una copia di quello del 1713 di Francois de Troy. Il fascino dell'esotico rendeva la figura del servo di colore ambita perfino come ornamento di mobili e gioielli. Il servo del dipinto potrebbe rappresentare una connessione con l'ambiente teatrale e con il successo di opere come «Moro per amore», musicato da Stradella. Anche la dama del dipinto ha un'aria arguta, da teatrante, un poco dissononante dalle altre bellezze del tempo. Sia dal pensoso «Ritratto di dama» (di Alessandro Magnasco), prima foto del libro: una bruna bellezza, abbigliata in tessuto blu ricamato in oro, con collana di perle e orecchini a goccia, con il décolleté che sboccia da un merletto; sia di altre bellezze, indubitabilmente bionde per l'incarnato (nuova conquista della pittura). Da non dimenticare tra le testimonianze di visitatori illustri questa di Mark Twain, del secolo dopo, sulla bellezza delle genovesi: «Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri...».
Non solo moda o costume o «il com'erano gli antenati nobili» dei genovesi. Nel libro incontriamo l'influenza della storia sull'arte nei due secoli successivi alla Genova rinascimentale che primeggiò nel mondo. Daniele Sanguineti, storico dell'arte direttore in seno al Ministero per i Beni Culturali, ci presenta i «Genovesi a Parigi» alla corte del Re Sole con conseguente importazione di ritratti e influenza del Rigaud (il pittore di Re Luigi XIV); gli specialisti genovesi come «Il Mulinaretto» (Giovanni Maria Delle Piane) e Enrico Vaymer (per nostra fortuna strappandolo dall'oblio); «Il lusso ostentato» di Domenico Parodi; gli eredi della tradizione barocca da Piola a De Ferrari, l'Accademia, ecc.
Ci presenta quella «nuova generazione di pittori» operante tra l'ultimo quarto del secolo barocco e il primo Settecento, capaci di «sviluppare la ritrattistica di stampo fiammingo varata dalle presenze straordinarie di Rubens e Van Dyck, coniugandola con il riferimento culturale romano».
Nel maggio 1684 la flotta di Luigi XIV aveva bombardato Genova provocando il cambio delle alleanze con lo scioglimento del secolare legame con la Spagna. Nel 1695 nel libro dei conti di Rigaud compaiono i primi ritratti di genovesi in Francia ben più numerosi di altri clienti italiani. È del 1704 il suo ritratto di Anton Giulio II Brignole Sale, a Parigi in qualità d'inviato della Repubblica presso il re. Anton Giulio fu artefice dell'ingresso di molti beni di lusso nella dimora avita di Strada Nuova (Palazzo Rosso) e non è chiaro quante copie (perfette come l'originale) furono commissionate per divulgare la sua memoria fra i vari rami di famiglia.
La storia dei ritratti ci racconta storie umane d'eccezione come nel caso di Ferdinando Carlo Gonzaga e della sua «sfortunata» moglie Suzanne Henriette d'Elbeuf. A proposito dell'aggettivo, usato da Sanguineti (curatore anche di Mostre come a Mantova sulla duchessa (2002) piacerebbe saperne di più. Il lettore anche davanti all'incantevole busto di Santa Maria di Cleofa nella Chiesa di San Carlo (una delle sculture presentate nel saggio della Bruno) può non ricordare che, sorella o cugina della Vergine, madre di Giuseppe e Giacomo, con pietà e coraggio presenziò alla crocifissione di Gesù.
Mariangela Bruno come Sanguineti si è specializzata con un dottorato di ricerca. Ci fa notare che nei busti di marmo si celebrava un intero casato, come molti siano ormai dispersi però rintracciabili nella pubblicistica d'epoca (Raggi, Alizeri) e come le dimore dei genovesi illustri fossero già allora «musei cittadini privati». È una ricerca in gran parte inesplorata nonostante studi sui Dogi di Piero Boccardo e Clario di Fabio o sull'Albergo dei Poveri di Elena di Parma.

Sulla «grata memoria» che questi grandi genovesi dovrebbero ispirarci con i loro ritratti Emanuele Brignole, fondatore dell'Albergo dei Poveri, disse a proposito delle statue dei benefattori che suggerivano un «fac tu similiter».
Questo documentatissimo e affascinante libro è stato fortemente voluto dal marchese Giovanni Battista Crosa di Vergagni per la Fondazione Conservatorio Fieschi.

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