Cultura e Spettacoli

COMISSO La brutalità di essere sinceri

Un grande scrittore da riscoprire, scomodo perché attualissimo. Tornano i racconti e gli scritti giornalistici dedicati al suo Veneto

Leggere o rileggere Giovanni Comisso è sempre una scoperta. Nella sua prosa troviamo gli stessi colori dei paesaggi che racconta. Non c’è narrazione dove non compaiono strade, fiumi, sfondi di villaggi coi campanili, boschi e montagne; situazioni che vivono in proprio, che non avrebbero bisogno della presenza di uomini e animali. Sono già storia. Uno scrittore insolito, almeno nel panorama odierno, dove i giovani narratori, che vivono spesso nelle metropoli, sembrano essersi dimenticati del paesaggio, caro, anzi indispensabile ad autori del Novecento come Federico Tozzi, Tommaso Landolfi e altri che, da esso, prendono o riversano atmosfere e stati d’animo.
Ma proprio perché insolito, Comisso è più che mai attuale: non a caso ci narra come eravamo, ossia com’era l’Italia fino agli anni Settanta. Testimonianza che ritroviamo in due suoi libri ora ristampati da Longanesi: Un gatto attraversa la strada, con prefazione di Guido Piovene e vincitore nel 1955 dello Strega; e Veneto felice, una raccolta di testi giornalistici ritrovati nel suo archivio dentro una cartella verde con la dicitura autografa: «Articoli per il volume sul Veneto». Una raccolta disordinata di ritagli di giornale che, grazie alla cura di Nico Naldini, sono stati ricomposti nel 1984 in un corpo unico.
Ma veniamo ai racconti. Si tratta di composizioni brevi e martellanti, dove Comisso non cessa di sorprendere, sia col linguaggio forte e diretto tutto proteso verso l’obiettivo, sia per la tecnica introspettiva con la quale penetra in situazioni e personaggi. Dopo l’attacco, che talvolta sembra giornalistico, la storia prende subito ritmo e scorre autonoma; compito dell’autore sarà soltanto condurla in porto. Caratteristica, questa, dei grandi scrittori: trasformarsi in cronisti della vicenda che narrano, con amore e umiltà, poiché altro non raccontano che la vita, le cui fragilità e misteri non cessano mai di stupire, di angosciare, ma anche di rallegrare, sebbene per brevi attimi; attimi che, per Comisso, sono quelli in cui narra, sviscerando ciò che ha veduto, intuito o inventato.
La critica politicamente impegnata non ha mai saputo se collocarlo a destra o a sinistra. Non vi riuscì nemmeno Pier Paolo Pasolini, che gli fu amico e sostenitore, alla stregua di Eugenio Montale, Guido Piovene, Andrea Zanzotto e Goffredo Parise. Comisso sfugge dalle loro mani e dalle loro menti. Tutto perché, io credo, è estremamente sincero, un modo, quindi, di essere brutale in una società intrisa di conformismo e ipocrisia come è sempre stata la nostra, dove solo la malafede è vincente, tanto che la sinistra, diceva Goffredo Parise, alla coscienza di classe aveva sostituito l’invidia di classe. Un’invidia intesa anche come malafede, quindi avversaria di ogni forma di creatività letteraria e politica.
Comisso, morto nel gennaio 1969 di vecchiaia precoce, la morte degli artisti, proprio come quella di certi suoi amici quali De Pisis e Sandro Penna, scrive Nico Naldini nella prefazione di Veneto felice, s’è salvato da ciò che sarebbe venuto dopo: gli anni di piombo, la strategia della tensione con la lunga sequela di morti ammazzati, che ha scolpito una delle pagine più tragiche della nostra storia. Nei suoi racconti troviamo invece un’Italia felice, quella cara a Pasolini. Le persone non vivono alla giornata, ma credono e sperano nel domani. La natura gli è amica in tutto e per tutto: dai paesaggi ancora integri ai fiumi non inquinati. Poi sono vive le tradizioni della cultura popolare. Nei paesi e nelle città troviamo le piccole trattorie da lui frequentate, con gente che ha voglia di conoscersi, fare amicizia. Amicizia che nasce anche tra due soldati di leva: uno del Nord, l’altro del Sud. Quello del Nord è alto, biondo e forte: fa il ciclista e nell’esercito ha il compito di consegnare la posta ai commilitoni. Impegno che lo porta a viaggiare con la bicicletta, la sua passione. Ma quella militare è pesante e tozza mentre la sua, che ha a casa della madre appesa a una trave, è leggera e scorrevole. Un sogno. Fra i commilitoni c’è un ragazzo del Sud, un siciliano che non sa scrivere, né andare in bicicletta. I due divengono amici, e quello del Nord gli insegnerà a scrivere e andare col velocipede. E, quando il ragazzo del Sud torna in Sicilia, scopre che la vita è anche memoria di cose e persone perdute come il commilitone biondo.
Ci troviamo poi dentro notti di campagna, la luna nascosta dalle nubi, mentre un gruppetto di marioli percorre strade sterrate. Sono ladri di galline. Ne ruberanno diverse insieme ai salumi. Quando al mattino i proprietari se n’avvedono, tra le righe del racconto si continua a respirare l’atmosfera del buio, coi sorrisi tutti denti dei manigoldi. È poi la volta di un uomo che va a fare la guardia carceraria e picchia a morte i detenuti. Ma poi si pente e torna nella casa di campagna della madre, insieme alla moglie e un figlio. Il quale, una sera, rimasto ferito in una rissa, vorrebbe fare imprigionare l’aggressore. Ma il padre gli dice che in carcere non deve andare nessuno.
Ogni racconto di Comisso è come un quadro o un film: propone di continuo scenari diversi, ma senza mai perdere di vista le persone e i loro sentimenti. Parise ha scritto che aveva dei lampi di pazzia nello sguardo, lampi che gli permettevano di coordinare con astuzia fulminante tutte le possibili geometrie dei cinque sensi. Ma quello che molte volte può sembrare pazzia, in realtà è veggenza, ossia quella strana e inspiegabile forza dell’intelletto che porta a capire ciò che sta per accadere o accadrà. Guardando le sue campagne, costruendo i personaggi delle sue trame, Comisso racconta tutto quello che avremmo perduto in ambito paesaggistico e antropologico. Interiorizza la fine di un’epoca per darcela sotto forma di poesia; ha capito che niente sarà più come prima. Coi mutamenti ambientali e con l’incombere della società industriale, cambieranno anche gli esseri umani. Questo il suo tormento. Il mondo in cui è nato e vissuto sta per finire.
Veneto felice sono narrazioni, invece, adattate all’esigenza e allo spazio dei giornali. Descrivono Chioggia, Venezia, i colli Euganei, Feltre e altro ancora con stile rapido e disinvolto, ma sempre attento alle varianti dei colori che traspaiono dai vari paesaggi; ne esce una scrittura ad ampio raggio che spazia dalle pendici alle vette delle montagne, per poi sfiorare laghi, fiumi e pianure alla stregua del volo di un grande uccello che vada alla ricerca di un luogo adatto per il nido. Comisso non aveva viaggiato soltanto nel suo Veneto, ma anche all’estero, per ritrovarvi, viene da pensare, delle analogie con la sua terra; a lui è quella che interessa insieme alla sua gente.

Vive per essa, e a essa si dedica con disperata generosità raccontandola in pagine che conservano intatte freschezza e attualità.

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