È probabile (e auspicabile) che allesame di Stato 2009 qualche Commissione si veda arrivare sulla cattedra una «tesina» non convenzionale, con in copertina, «tirata giù» da internet, linconfondibile figura, curva su se stessa, di un Signor G., dove G sta per Giorgio Gaber, o forse per «gente». Se succederà, sarà segno che Mariastella Gelmini ha toccato le corde giuste, proponendo agli studenti delle superiori il percorso sullartista milanese. Molti si domanderanno: perché lui? Possiamo replicare con unantitesi: perché no? E rispondere al quesito richiederebbe qualche arrampicata sugli specchi.
La scelta ci pare in linea con indicazioni che prescrivono di discutere e approfondire lattuale. Da qualche parte bisogna pur cominciare, e con la proposta Gaber listituzione (finalmente) lancia un segnale forte e chiaro. I testi hanno spessore. Qualità letteraria.
Il senso di una testimonianza culturale che parte da una piattaforma bassa, ma che con qualche colpo dala sa lasciarsi alle spalle le scorie del particolare, della moda, del trito, per celebrare il piccolo trionfo di pensare diverso, di pensarsi contro, di far rifulgere il proprio io sullopaco della massa anonima, inerte, masticando nel frattempo qualche acido senso di colpa. Oggi Giorgio Gaber.
Domani potrebbe essere la maschera di Totò, ghigno di un eroe minimo e grandioso che con il suo fioretto del surreale, intriso nel paradosso, lacera il velo delle apparenze acquisite, mostra tra un sarcasmo e una lacrima che lesistenza è contraddizione, in attesa della livella fatale.
Pensiamo alle dense rime di Franco Battiato: giusto pensare che nulla è come sembra, che andare a caccia di un centro di gravità permanente, che ci faccia essere noi, che non ci faccia cambiare idea sulle cose e sulla gente, come gira il vento, può essere una melodia dolce e accattivante, ma anche un tirocinio di filosofia che ha un buon sapore di antico, di Socrate e Platone. Le parole di Fabrizio de André scivolano sugli accordi di chitarra (e per questo sembrano allacqua di rose), ma ti scavano dentro, perché hanno gli artigli della poesia: basta pensare a Non al denaro non allamore né al cielo ispirato dallAntologia di Spoon River.
Come quelle, roche e pastose, di Paolo Conte, che ingioiellano la solitudine non meno del colto fraseggio dei vati laureati. Come quelli dedicati alla splendida Incantatrice di nome Ines dellalbum Una faccia in prestito. Solo che le note del suo piano le mettono in sintonia più facilmente con lemozione di chi accetta di ascoltarle. Il rischio è che, nella scuola, la retorica ingessi tutto, e lo degradi a esercizio accademico.
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