Il commento Ma chi ha paura del ministro?

Ma la lotta alla mafia è un argomento terribilmente serio oppure è uno show, un santino, una maglietta, un bestseller, un romanzo, un gadget, un prodotto, una fanzine, un’icona da stampare su una maglietta? Eppure basterebbe immaginare uno scenario mediatico ribaltato per capire dove casca l’asino. Insomma, il noto autore di un bestseller di narrativa, l’autore di un libro di successo, l’autore impegnato nel combattere la camorra, l’autore sotto scorta, per il quale la letteratura è azione di denuncia e non opera d’arte, l’autore che pone al centro dei suoi articoli la politica e la denucia alla criminalità, e ritiene di denunciare ogni giorno cose che nessuno sa, neppure i magistrati, questo autore, immaginiamo, godendo di una grande visibilità, in un universo parallelo, un giorno chiede in diretta televisiva, sulla televisione di Stato, un confronto con il ministro dell’Interno, per potergli dire in faccia quello che sa, per inchiodarlo con le sue parole forti. Continuiamo a immaginare che, per reazione, questo ministro non accetti il confronto, e anzi reputi la richiesta del noto autore un atto di arroganza, e dia al noto autore perfino del mafioso per il solo fatto di essersi permesso un affronto simile. Si direbbe: il ministro teme la parola del noto autore, il ministro non accetta il contraddittorio, il ministro se la fa sotto, il ministro è un mafioso.
Invece la paradossale realtà è spaventosamente invertita: il ministro chiede il confronto, il noto autore impegnato contro la camorra lo rifiuta, e anzi associa la richiesta del ministro alla minaccia di un boss. La rete stessa, dopo aver invitato tre politici antiberlusconiani a leggere delle liste di valori, si trincera dietro l’alibi della trasmissione culturale, e dietro questo gioco di specchi, dietro lo schermo dello schermo catodico, si perde di vista l’essenziale. Il capostruttura di Rai Tre dapprima risponde sprezzantemente: vada a replicare altrove, il ministro, perché un ministro può rilasciare interviste sui giornali, sui telegiornali, dove crede, e può, se crede e si sente diffamato, rivolgersi alla magistratura, ma qui non metterà piede. In un secondo tempo, ieri, dopo innumerevoli tira e molla, offre al ministro la possibilità di leggere il suo elenco, perché lì si leggono solo gli elenchi.
Tuttavia attenzione, Mazzetti ci prende per i fondelli, e la par condicio non c’entra nulla. Il ministro non ha chiesto una semplice replica, bensì un faccia a faccia, e su un tema cruciale. Il ministro non ha preteso un monologo, né di leggere la sua lista, (sebbene gli verrebbe facile, gli basterebbe elencare i ventotto latitanti arrestati), bensì un dialogo pubblico, davanti alle telecamere, perché tutti possano giudicare. E avere un confronto con il ministro dell’Interno, ossia non con un politico qualsiasi, ma con il ministro preposto proprio all’ambito oggetto delle denunce dell’autore impegnato, dovrebbe essere il desiderio più urgente del noto autore. Se il noto autore ha argomenti così forti e inoppugnabili, se crede che la sua parola serva a denunce scandalose, dovrebbe essere proprio lui a esigere un confronto televisivo, non il contrario.
Proporre al ministro di presentarsi con il proprio foglietto da leggere non è la stessa cosa, è solo un modo per circoscriverlo e dargli un contentino, un’elemosina. Non si può su Rai Tre? Hanno già pianificato le puntate restanti e non c’è spazio per un dialogo così importante? Prendiamo per buona anche questa, e allora il confronto si faccia da Mentana, da Vespa, da Santoro, ovunque decida il noto autore, perché la lotta alla camorra non sia usata come una strumentale propaganda elettorale o spettacolino per anime belle. Non riesco a immaginare il tanto citato Giovanni Falcone rifiutarsi di fronte a una analoga richiesta di un esponente delle istituzioni, anzi Falcone ha sempre cercato i dibattiti pubblici, non si è mai tirato indietro.

Al momento, mentre prima dell’inizio di «Vieni via con me», sul supplemento del Corriere della Sera campeggiava in copertina la foto della premiata ditta Saviano & Fazio con la scritta «Chi ha paura di noi?», dopo due puntate in cui non si parla di cultura ma di camorra, la domanda è un’altra: chi ha paura di Roberto Maroni?

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