di Vincenzo Vitale
La pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato lillegittimità del Lodo Alfano lungi dal dissipare i dubbi già sorti, contribuisce ad alimentarli.
Infatti, la Corte ha innanzitutto preteso che per introdurre il Lodo Alfano - a differenza di quanto sostenne per il Lodo Schifani che era analogo - fosse usato il procedimento di revisione costituzionale, cosa che invece non è stata.
Certo, stupisce che la Consulta richieda oggi ciò che ieri non esigeva, vale a dire il ricorso alle maggioranze e alle procedure previste per la revisione della Costituzione.
La ragione principale di tale conclusione sta nella circostanza che la Corte ritiene che la sospensione dei processi disposta per le alte cariche non sia un istituto di diritto processuale, ma una vera immunità personale legata allufficio ricoperto: e per questo oggi richiede la revisione della Costituzione.
Qui si tratta di un abbaglio clamoroso in cui è incorsa la Consulta, un vero errore di grammatica istituzionale, tanto grave quanto incomprensibile. Infatti, la struttura giuridica della immunità non conosce in alcun modo una sua rinunciabilità, in quanto essa è sempre attinente non al singolo individuo che se ne avvalga, ma al ruolo ricoperto. Per capirci: un parlamentare non può in alcun caso rinunciare alla immunità che gli deriva dalla carica, perché dovrà essere il Parlamento, se ne ricorrono le condizioni, a privarlo della stessa.
Limmunità non è mai perciò a disposizione del soggetto che ne gode: essa è per definizione indisponibile, non dipende - e non può dipendere - dalla sua volontà.
Basta questo a capire come il Lodo Alfano configuri nullaltro che un istituto processuale: prova ne sia che la sospensione dei processi da esso prevista è rinunciabile. Sicché, come un imputato può rinunciare alla prescrizione, può rinunciare alla sospensione del Lodo: né più né meno.
La rinunciabilità è sicuro indice del carattere strettamente processuale dellistituto.
Perciò era più che sufficiente la legge ordinaria per introdurlo, risultando invece il procedimento di revisione costituzionale oggi improvvidamente richiesto dalla Consulta del tutto inutile e inconferente.
Ma la Corte forse pensava ad altro. Pensava per esempio al presidente del Consiglio in posizione paritaria rispetto ai ministri: e per questa disuguaglianza di trattamento censura, per altro aspetto, il Lodo Alfano.
Anche qui, unopinione della Corte molto dubbia per il semplice motivo che dopo la riforma della legge elettorale di metà anni Novanta il presidente del Consiglio riceve una investitura popolare diretta, mentre i ministri sono semplicemente nominati dal capo dello Stato.
Si dirà che formalmente non è così, ed è anche vero, perché è il capo dello Stato che affida lincarico di formare il governo. Ma è anche vero come fonte normativa primaria sia anche la prassi costituzionale: questa ci dice che ormai da un quindicennio le competizioni elettorali vedono contrapposti da un lato il leader del centrodestra e dallaltro quello del centrosinistra, i quali si presentano agli elettori quali incaricati «in pectore» in caso di vittoria. E del resto, forse che il capo dello Stato potrebbe omettere o evitare di affidare lincarico al vincente dei due?
Se lo facesse, suonerebbe peggio di una bestemmia costituzionale. Ecco perché allora la posizione del presidente del Consiglio non è equiparabile a quella dei ministri: perché, al di là di ogni ipocrisia, il primo riceve dagli elettori un mandato diretto che i secondi non hanno mai né chiesto né ottenuto.
Come si vede, la Consulta ha ammassato un bel po di pecche in una sola sentenza, una specie di primato degli errori: eppure, sono errori - direbbe Manzoni - che potevano esser visti da quelli stessi che li commettevano.
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