Finalmente, dopo un rituale colloquio tra Fini e Berlusconi, trapelano quali dovrebbero essere le linee principali della riforma in tema di durata dei processi penali.
I due presidenti hanno saggiamente concordato di non affrontare in modo specifico il tema della prescrizione dei reati, scegliendo invece la prospettiva di una necessaria riduzione dei tempi del processo, problema al quale in un modo o nellaltro sono di fatto sensibili tutte le forze politiche. È noto infatti come una delle grandi disfunzioni del processo italiano consista nella sua durata quasi biblica, tanto che il processo stesso finisce col diventare una pena aggiuntiva per chi abbia la disavventura di subirlo proprio a causa dei tempi infiniti che lo caratterizzano.
Le indicazioni che sono emerse sono di due generi fra loro complementari. Per un verso, si prevede che in caso di processi per reati con pene non superiori a dieci anni (ad eccezione dei reati di mafia, terrorismo o di altri reati gravi quali omicidio o rapina), la durata complessiva del processo non potrà superare i sei anni (due anni per ogni fase processuale): in caso contrario scatterà la prescrizione.
Si tratta di una misura di indubbia ragionevolezza, connotata da un mirato equilibrio fra le diverse esigenze: da un lato, evitare che il più ridotto termine prescrizionale possa riguardare anche processi per reati di indubbia gravità; dallaltro, far sì che per i reati, per dir così, ordinari (truffe, lesioni colpose ecc.), il processo subisca unaccelerazione tanto necessaria quanto ormai indifferibile.
Per altro verso, viene previsto che per i processi relativi a reati non gravi e commessi prima del 2 maggio 2006 (data in cui è entrato in vigore lindulto), il termine prescrizionale venga ridotto di un quarto rispetto a quello oggi in vigore: ma ciò varrebbe comunque soltanto per gli incensurati.
Inoltre, viene precisato che tale nuova disciplina avrebbe pieno vigore immediatamente approvata, nel senso che si applicherebbe già ai processi attualmente in corso. Orbene, la domanda che viene naturale è quella sulla efficacia di una simile nuova impostazione normativa della prescrizione dei reati al fine che si intende raggiungere.
Visto che il fine è quello di ridurre la durata dei processi, può dirsi a ragion veduta che i mezzi indicati sembrano congrui. E tuttavia, rimangono ostacoli non indifferenti da superare. In prima battuta, bisognerà tradurre queste buone intenzioni in un disegno di legge omogeneo ed organico, capace di resistere alle inevitabili tentazioni parlamentari che, tirandolo un po di qua ed un po di là, possono finire con lo snaturarlo in modo determinante.
Insomma, liter parlamentare, sempre faticoso, in questo caso potrebbe presentarsi particolarmente tormentato per il semplice motivo che se anche lopposizione è daccordo per la necessità di accorciare i processi, potrebbe non esserlo affatto circa la constatazione che tali nuovi termini della prescrizione riguarderebbero anche i processi che direttamente interessano il presidente del Consiglio.
Il difficile sta perciò nel far navigare la navetta fra Camera e Senato senza deformare le linee fondamentali del disegno di legge in esame. A ciò si aggiunga che nonostante tutte le buone intenzioni, la nuova disciplina potrebbe essere interpretata in modo distorto, finendo col penalizzare proprio gli imputati, nellinteresse dei quali si vorrebbe ridurre la durata dei processi.
Potrebbe accadere infatti che nellansia di rispettare quei nuovi e più brevi termini, alcuni giudici pensino di comprimere troppo i diritti della difesa proprio per quanto riguarda il tempo a sua disposizione o la valutazione di un legittimo impedimento di un difensore.
Forse, oltre che intervenire nel modo oggi annunciato, si dovrebbe anche depenalizzare in maniera massiccia allo scopo di sgravare i tribunali del trenta per cento - almeno - del carico di lavoro: i giudici sarebbero così più disponibili per celebrare i processi che davvero lo meritino.
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