Il commento Ma il partito «debossizzato» è fantapolitica

Ricorrendo a una metafora pugilistica, bisogna ammettere che l’incalzante uno-due - cioè le elezioni amministrative e i referendum - è stato davvero violento nei confronti della persona del premier, della compagine di governo e dell’intera maggioranza. Da stendere al suolo chiunque. E subito si sono levate le voci - commenti politici e analisi giornalistiche - inclini a teorizzare il cupio dissolvi del berlusconismo: la fine di un ciclo politico, il tramonto di un’epoca, la fine di un uomo. E qualcuno ha tentato - ma è fantapolitica - di immaginare gli assetti di un Pdl senza Berlusconi.
Anche la Lega è stata investita dalle analisi e dai commenti finalizzati a mettere a fuoco correnti e fratture interne tra il Capo - Umberto Bossi - e i suoi colonnelli, a cominciare da Roberto Calderoli e Roberto Maroni; senza dimenticare il governatore del Veneto, Luca Zaia, quello del Piemonte, Roberto Cota, e il sindaco di Verona, Flavio Tosi. Sarebbe una Lega che marcia verso Pontida - tradizionale adunata del Carroccio sul sacro prato, là dove è nato, nel XII secolo, come accordo di città (la Lega lombarda), il primo modello di confederalismo della cultura politica europea occidentale - tra malumori e disagi.
Ogni anno sul sacro prato di Pontida si consuma l’antico rito del Capo che parla al popolo dei militanti del Carroccio, impone le parole d’ordine, indica la strada verso il futuro. Sino all’anno dopo, quando - nuovamente riuniti sul sacro prato - si tirano le somme e si rilancia il progetto politico. È questo il ritmo ciclico del tempo politico della Lega. È sempre andata così. E anche quest’anno andrà così: domenica sera sapremo quali condizioni Bossi porrà al premier per il prosieguo dell’azione di governo.
L’anno scorso, solo per fare l’esempio più recente, Bossi dal palco rilanciò l’idea della capitale «reticolare», vale a dire del decentramento delle funzioni ministeriali in alcune città del Nord, ma anche del Sud, per assecondare la loro vocazione civica, storicamente consolidata. E per alleggerire l’ingolfamento di Roma, simbolo di uno Stato burocratico e accentratore da snellire, ridurre al «minimo» e rendere più efficiente. E il progetto della capitale «reticolare» è tornato di recente alla ribalta, sostenuto dallo stesso Bossi, tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative, scatenando dibattiti e polemiche.
La fantapolitica degli analisti ha colpito anche la Lega: qualcuno ha ipotizzato il futuro di una Lega senza Bossi. Come per il Pdl senza Berlusconi, si tratta di una prospettiva davvero impossibile, irreale e infondata. Bossi e Berlusconi, infatti, rappresentano due modelli di leadership - molto diverse tra di loro - prodotti dal sistema politico che ha caratterizzato la lunga età della transizione, successiva alla caduta della Prima repubblica.
Uno dei primissimi - e più noti - manifesti della Lega raffigura una gallina che cova delle uova d’oro in un cestino sorretto da una matrona romana. Quel manifesto, così semplice ed efficace nel suo messaggio (il Nord lavora e produce a beneficio dell’idrovora romana, dove viene gestita la ricchezza generata nella valle del Po, a beneficio del resto del Paese) fu disegnato da Bossi in persona. E rappresenta bene il senso politico della questione settentrionale, così come s’impose sul finire degli anni Ottanta, decretando l’affermazione e il successo della Lega.
L’indomito gladiatore di Gemonio - dopo l’incontro con Bruno Salvadori nei corridoi dell’università di Pavia e il contatto con le dottrine del federalismo personalista e integrale - fu il primo a intuire e a interpretare il significativo malcontento e il disagio diffuso delle popolazioni del Nord, vessate da una fiscalità opprimente, non tutelate nei loro interessi aggregati a livello territoriale, né politicamente rappresentate a livello centrale. Male in arnese e con pochi soldi a disposizione, percorse la Padania in lungo e in largo, con la propria Citroën, consumata da migliaia e migliaia di chilometri. E creò un rapporto fiduciario molto stretto con il nascente popolo della Lega, che cominciava a credere in lui e nel suo progetto politico: quello di trasformare il Paese in senso federale.

Innescando così un perfetto meccanismo di identificazione tra il coraggioso leader e i suoi militanti. Lo stesso meccanismo che si tocca con mano ogni anno a Pontida. Per ribadire che non c’è Lega senza Bossi, non c’è Bossi senza Lega.

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