Quando, ai primi di luglio, Barack Obama sbarcherà a Mosca, verrà accolto con tutti gli onori dal presidente russo Medvedev e dal premier Putin. Ma anziché segnare l'inizio di una nuova distensione tra i due Paesi, la visita rischia di sancire un ribaltamento dei rapporti di forza nello scacchiere euroasiatico. E non certo a favore di Washington.
Sono bastati cinque mesi al Cremlino per interpretare il nuovo corso della Casa Bianca. E approfittarne con rapace cinismo. Sì, anche la Russia plaude entusiasta ai toni di Barack Obama, al suo desiderio di fare la pace con tutti, inaugurando un'era di dialogo e comprensione reciproca. Ma gli strateghi russi hanno capito che l'impero americano si è molto indebolito e non è in grado di gestire più di due scenari simultaneamente. Dal crollo del Muro di Berlino fino alla guerra in Irak, gli Stati Uniti erano invece riusciti a difendere simultaneamente i propri interessi in Medio Oriente e quelli nel Sudest asiatico; a spingere la globalizzazione nell'America Latina e a sviluppare l'accerchiamento della Russia, sottraendole zone di influenza sia in Europa che in Asia.
Nel 2008 il quadro è cambiato. Le due interminabili guerre, in Irak e in Afghanistan, hanno offuscato la percezione della potenza militare Usa, mentre la crisi finanziaria ha svelato la straordinaria, inaspettata debolezza strutturale dell'economia statunitense. Poi, poco meno di un anno fa, il dramma in Georgia, che ha permesso a Mosca di osare l'inimmaginabile: ha invaso l'Ossezia del Sud, l'Abkhazia, spingendosi quasi fino a Tbilisi. E l'America ha lasciato fare. Rammaricata, anzi furiosa, ma di fatto impotente.
In settembre il tracollo dei mercati finanziari, innescato dal fallimento della Lehman, ha raggelato tutti, compresa la Russia. Addio giochi strategici: la sfida, per ogni Paese, era di sopravvivere. Non appena, però, il rischio del dissesto sistemico è diminuito e il prezzo del petrolio ha ripreso a salire, Mosca ha ricambiato marcia. Si è resa conto che gli Usa avrebbero concentrato le proprie forze in Afghanistan e in Medio Oriente, trascurando l'Ucraina, la stessa Georgia e i Paesi della fascia meridionale dell'ex Urss, dove confidavano sulla ritrovata benevolenza dei russi, a cui Obama proponeva di fatto un baratto: rinuncia allo scudo spaziale in cambio della bonaria co-gestione di queste aree.
Un'offerta a cui il Cremlino deve ancora rispondere, ma che di fatto ha già respinto.
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