Il commento Se le toghe si combattono l’effetto collaterale ferisce la giustizia

In questo Paese sbracato e qualche volta insopportabile, accade che l’ordine giudiziario, cioè il pianeta dei magistrati, manifesti risse, veleni e lotte intestine che fanno impallidire i personalismi e i maneggi della bassa politica. Con buona pace dei moralisti d’accatto per i quali la politica rappresenta la sentina della società, mentre la magistratura è faro di moralità, ordine, saggezza.
Vietato generalizzare, ovviamente, ma i flash che giungono da Reggio Calabria raffigurano un quadro inquietante, di fronte al quale i cittadini non possono che rabbrividire. C’è un procuratore generale di fresca nomina che dà come direttiva ai suoi sostituti di essere giustamente implacabili con le armate del crimine organizzato, della ‘ndrangheta, che in certe parti della tormentata Calabria esercita un infame potere, talvolta superiore e più efficace di quello dello Stato. Non c’è spazio per sciatteria e manica larga, dice il nuovo Pg, ma uno dei suoi sostituti non pare sia disposto ad accogliere il messaggio.
Il sostituto ha una storia di ostentata indipendenza che spesso lo ha portato a entrare in conflitto con colleghi e superiori. Succede che questo rappresentante del pubblico ministero avochi talvolta, senza motivi che siano ritenuti giustificati, inchieste affidate a magistrati della procura. Ne nascono controversie giudiziarie che le corti superiori risolveranno a favore della procura e non del sostituto Pg. Ma questi prosegue per la sua strada.
A novembre dell’anno scorso si insedia il nuovo Pg Di Landro ma il sostituto Neri tira dritto coi suoi metodi. Di Landro è un suo amico personale, ma non è disponibile a transigere e quando Neri sembra disposto ad ammettere ai benefici del pentitismo un soggetto condannato all’ergastolo per omicidio e rapina, non esita a togliere il caso al suo sostituto, nominando un altro rappresentante dell’accusa.
A questo punto entra in scena un clan della ‘ndrangheta, che comincia una serie di intimidazioni culminate nell’esplosione di una bomba davanti agli uffici della Procura generale.
Siamo su un terreno scivoloso. Perché il clan è passato all’azione? Per sostenere il sostituto Neri? Per protestare contro una sostituzione che riteneva pericolosa, dato che uno degli imputati apparteneva al gruppo malavitoso? Le risposte ce le darà la magistratura. Neri protesta la sua estraneità alla torbida vicenda. Noi restiamo con l’amaro in bocca. In una terra di frontiera la magistratura dà prova di divisioni, litigiosità interne e il trasferimento disposto dal Csm per Neri non vale a rincuorarci.
Purtroppo non è la prima volta che in Calabria si manifestano fratture pericolose all’interno della magistratura inquirente. È ancora vivo il ricordo della lotta feroce che coinvolse le procure di Salerno, Catanzaro e Potenza, i cui Pm si accusavano e inchiestavano a vicenda. Serbiamo ancora memoria degli sconquassi provocati dal Pm catanzarese Luigi De Magistris, creato cavaliere e parlamentare, nonostante fosse indagato, dal talebano Antonio Di Pietro.
Altri scontri fra pubblici ministeri hanno punteggiato la cronaca italiana, anche politica, facendo aumentare la sfiducia degli italiani nella magistratura.
Il sostituto Neri ha un futuro, potrebbe anche finire nelle liste di Di Pietro.

Ma se continua così, noi cittadini, sottoposti all’alta vigilanza della magistratura super-etica, quale futuro avremo?
La riforma della giustizia non piace alle opposizioni, ma a tantissimi cittadini appare una necessità inderogabile. Non vorrebbero finire fra gli «effetti collaterali» della guerra fra toghe.

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