Nove anni dopo che George Bush, per reazione agli attentati dell'11 settembre, dichiarò «guerra totale» al terrorismo islamista e avviò i preparativi per l'attacco all'Afghanistan, dove si erano insediati i capi di Al Qaeda, questa guerra non è ancora vinta. È vero che l'organizzazione di Bin Laden non è più riuscita a mettere a segno un solo attentato in grande stile in territorio americano e ha dovuto concentrare i suoi sforzi su teatri a lei più congeniali, come Iraq, Yemen, Somalia, Algeria. È vero che, Per le poche operazioni di successo portate a termine in questo periodo nei Paesi occidentali, in particolare Gran Bretagna e Spagna, lo sceicco del terrore ha dovuto avvalersi di strutture locali solo idealmente collegate alla casa madre. Ma è altrettanto vero che lo stesso Bin Laden - ammesso che sia vivo - continua nella sua latitanza e che i suoi alleati Talebani sono ancora abbastanza forti per proclamare, proprio nell'anniversario dell'11 settembre, che gli Stati Uniti hanno perso e «hanno come unica opzione il ritiro senza condizioni». Inoltre, la guerra ha generato da un lato una ondata di islamofobia nel pubblico americano, come si è costatato anche in occasione della polemica per la moschea a Ground Zero, e dall'altro un odio violento per gli Stati Uniti da parte «piazze islamiche», che ormai colgono ogni pretesto per bruciare le bandiere a stelle e strisce. Barack Obama ha cercato, con il suo famoso discorso del Cairo, di lanciare un segnale di pace, e ancora ieri ha ribadito che l'America non combatte contro l'Islam, ma solo contro il terrorismo che la minaccia e difeso a spada tratta il diritto degli islamici americani di praticare liberamente la loro religione. Ma il presidente non ha avuto molto successo con le sue aperture: il suo approccio più morbido non ha attenuato lo scontro con i fondamentalisti e gli ha attirato le ire dei repubblicani, che lo accusano di avere tradito l'eredità di Bush e messo irresponsabilmente a repentaglio la sicurezza dell'America. Non a caso due americani su dieci (tra cui anche un buon numero di democratici) sono convinti che Obama non sia cristiano come sostiene, ma di fede musulmana come il padre.
In realtà, il tentativo di evitare che la guerra al terrorismo degeneri in «conflitto di civiltà» non significa che l'Occidente in generale, e l'America in particolare, abbiano abbassato la guardia. Se mai, è cambiata la strategia. Si continua a combattere perché l'Afghanistan non torni ad essere un santuario per Al Qaeda, ma si ricorre sempre più a metodi più sofisticati, come la eliminazione dei suoi dirigenti per mezzo degli aerei senza pilota, alla infiltrazione dell'organizzazione da parte di agenti musulmani, al monitoraggio elettronico degli elementi sospetti e al blocco dei finanziamenti. Gli Stati Uniti hanno creato, nel corso degli anni, una gigantesca struttura preposta alla sicurezza interna, arrivando a spendere 75 miliardi di dollari soltanto per l'intelligence. È molto migliorata anche la collaborazione tra i servizi, compresi quelli di Russia e Cina, a loro volta alle prese con il terrorismo islamico nel Caucaso e nel Sinkiang.
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