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Commessi da 9mila euro I privilegi della Camera

Intorno agli onorevoli c'è la tribù degli addetti: dai tecnici agli stenografi. Tre volte più numerosi dei deputati, nel 2010 sono costati mezzo miliardo. C'è chi guadagna più di Napolitano

Commessi da 9mila euro I privilegi della Camera

Roma - Alla Camera sono 1.642, quasi tre per ogni deputato. E da questo numero sono esclusi i colla­boratori degli onorevoli, per i qua­li i parlamentari hanno un contri­buto a parte (fino a 3.690 euro al mese). Sono le comparse di Mon­­tecitorio, l’ingranaggio sotterr­a­neo della Camera che non si vede, o che s’intravede in qualche sedu­ta movimentata, quando un brac­cio nero arriva ad agguantare un eletto del popolo che si sta avven­tando su un altro eletto del popo­lo. Sono questi i cosiddetti com­messi parlamentari, o assistenti, ma l’infinita varietà di mansioni dell’alveare Camera propone ben 19 servizi e 7 uffici della segreteria generale, con incarichi che vanno dall’operatore tecnico al segreta­rio, appunto, che vanta uno stipen­dio superiore a quello del presi­dente della Repubblica ( 28.152 eu­ro lordi mensili). La spesa com­plessiva di Montecitorio per sti­pendi e pensioni dei 1.642 nel 2010 ha superato il mezzo miliar­do di euro, 508 milioni 225mila eu­ro.

Tutto ruota intorno alla Casta, ma per muovere l’onorevole tribù c’è appunto quest’altra Casta qua­si tre volte più numerosa, che a ben guardare costa alle casse pub­bliche non meno della dorata schiera dei politici. Il bilancio con­suntivo 2010 della Camera dice che per gli stipendi del personale (ascensoristi, commessi seda-ris­se, stenografi, consiglieri eccete­ra) la spesa è stata di 256 milioni 128mila euro. Questo significa che il guadagno medio di un di­pendente è di 155mila 985 euro lor­di l’anno, 6mila euro al mese netti di media. Uno stenografo sfiora i 260mila euro l’anno. Per fare un paragone, le controverse indenni­tà parlamentari si sono fermate a 94 milioni 545mila euro. Non è solo una questione di grandi numeri. Entrare alla Came­ra, anche nei ruoli meno prestigio­si come appunto quello di com­messo con il compito di sorveglia­re la seduta di assemblea, implica portare a casa uno stipendio base, alla prima assunzione, di 2.618 eu­ro netti. Dopo 15 anni di lavoro la busta si gonfia: 5.613 euro.

A fine carriera, dopo 35 anni, il super­commesso arriva a guadagnare 9mila 400 euro. La paga di circa cinque operai. E a proposito di fine carriera va segnalato che anche per i dipen­denti, fino alla settimana scorsa, sono valse regole, se non favolose come quelle dei deputati, eccezio­nali rispetto ai comuni lavoratori italiani: gli assunti prima del 2009 potevano andare in pensione an­che a 57 anni con 35 di contributi, oppure molto prima se gli anni ef­fettivi di servizio alla Camera era­no stati almeno venti. Le nuove norme stabilite dall’ufficio di pre­sid­enza lo scorso 14 dicembre im­pongono anche per l’altra Casta la pensione a 65 anni, con sistema contributivo. In men che non si di­ca però, nello stesso giorno,l’asso­ciazione dei consiglieri della Ca­mera ha recapitato al presidente Fini e ai parlamentari una lettera, non ancora resa nota alla stampa, per rendere consapevole«l’intera rappresentanza parlamentare» che «uno slittamento dell’età di pensionamento» anche «di dieci anni» anche per «i dipendenti prossimi al pensionamento» non rispetterebbe il requisito «del­l’equità ». Si segnala quindi che la «burocrazia parlamentare non ap­pare assimilabile a nessuna delle categorie di pubblico impiego». Pur consapevoli della necessità «di fare ogni sforzo per favorire il consolidamento dei conti pubbli­ci »,i consiglieri rivendicano«la di­gni­tà e la qualità professionale del­la burocrazia parlamentare » e il lo­ro «ruolo centrale» nel «sistema democratico».Una qualità profes­sionale che, comunque sia, è paga­ta benissimo. Un consigliere capo­servizio (che gode di un’indenni­tà di ruolo di 1.198 euro mensili) può arrivare a guidare un servizio e avere uno stipendio fino a 23.825 euro lordi al mese, praticamente superiore a quello di un parlamen­tare.

Le pensioni dei dipendenti valgono oltre 200 milioni di euro. E a questa voce compaiono anche 110mila euro di «assegni integrati­vi », 145mila euro di contributi so­cio- sanitari ai pensionati e 390mi­la euro di oscure «pensioni di gra­zia », di cui una rapida ricerca stori­ca consente di trovare traccia nei registri finanziari del regno di Na­poli ( XVIII-XIX secolo).

I contribu­ti­previdenziali a carico dell’ammi­nistrazione hanno sfiorato nel 2010 i 47 milioni di euro,di cui qua­si 11 milioni versati all’Inpdap e 36 milioni di «integrazione al fondo di previdenza del personale».

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