Il doppio gioco del tycoon con Iran e Israele. Scardinate le regole della diplomazia

La mossa non fa bene né agli Usa né al suo presidente: sarebbe stato meglio attendere i negoziati in Oman

Il doppio gioco del tycoon con Iran e Israele. Scardinate le regole della diplomazia
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Mediatore o alleato? Il sospetto di un doppio ruolo o, peggio, di un doppio gioco stavolta è pesante. E non giova né al prestigio, né all'autorevolezza di un Donald Trump che da una parte ha offerto all'Iran una via d'uscita pacifica dalla questione nucleare e, dall'altra, ha coperto un blitz israeliano di cui conosceva tempi e modi.

Certo al tavolo di Teheran non sedevano dei galantuomini, ma gli spregiudicati leader di una Repubblica Islamica che oltre ad aver celato i propri piani nucleari non ha mai fatto mistero di voler cancellare Israele dalla carta geografica. Ed ha appoggiato e addestrato quei militanti di Hamas responsabili delle stragi del 7 ottobre. Detto questo il presidente di un'America decisa a riprendersi il ruolo di «dominus» internazionale non può usare un negoziato come paravento per ingannare un Iran con cui sta - bene o male - negoziando. E tantomeno coprire un'operazione israeliana di cui - come ha ammesso al Wall Street Journal conosceva tempi e modi. Alla domanda su quale preavviso gli Stati Uniti avessero ricevuto prima dell'attacco, il presidente ha infatti risposto «Preavviso? Non era un preavviso. Era un sappiamo cosa sta succedendo». Un'affermazione sconcertante anche perché smentisce platealmente il segretario di Stato Marco Rubio, attentissimo a negare qualsiasi coinvolgimento americano nei piani d'Israele.

Atteggiamenti come questi rischiano di non fare bene né all'America, né al prestigio di un presidente deciso a risolvere i conflitti di Gaza e Ucraina. Le regole della diplomazia richiedevano che gli Usa rispettassero l'appuntamento negoziale di domenica in Oman per tentare un'ultima intesa con Teheran e dessero poi il via libera a Netanyahu. Anche perché ora l'America rischia di ritrovarsi esposta alle rappresaglie dell'Iran e dei suoi alleati. Ma soprattutto di rendere più difficili quei piani di Abramo su cui Trump punta per garantire la stabilità del Medio Oriente. Per quanto nemiche del regime sciita di Teheran le monarchie sunnite alleate di Washington, non possono ignorare gli umori di piazze e opinioni pubbliche poco disposte ad appoggiare un'America legata a doppio filo al governo Netanyahu. Certo il premier israeliano Bibì Netanyahu e i sostenitori della mossa di Trump intravvedono anche un'altra prospettiva. Dal loro punto di vista la distruzione delle infrastrutture nucleari iraniane e la decapitazione del suo apparato militare possono facilitare un cambio di regime. E questo risolverebbe in prospettiva non solo i problemi di Israele, ma anche quelli di un America costretta a confrontarsi con il grande nemico iraniano da oltre 45 anni. Ma le lezioni dell'Iraq e della Libia ci hanno insegnato che il capovolgimento di un dittatore o di un regime non è sempre la strada maestra per la stabilità.

E un Iran attraversato da uno scontro tra quanto resta del potere khomeinista e nuovi attori - fin qui assolutamente sconosciuti - rischia di aver conseguenze devastanti per l'intero Medio Oriente. Anche perché da quelle parti le promesse di un «nuovo ordine» rischiano spesso di far rimpiangere il vecchio disordine.

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