Dopo il dissesto finanziario, ora cè il rischio salute per i cittadini del Lazio. La Regione ha annunciato la chiusura di ospedali con meno di 90 posti letto e la loro «riconversione» a presidi territoriali di primo soccorso. I casi più gravi verranno elitrasportati in centri più grandi. È il caso, per esempio, del distretto sanitario di Sora, dove la chiusura dei piccoli ospedali ha creato enormi disagi. Leliporto dellospedale di Sora dopo tre anni non è ancora pronto e i posti di primo soccorso negli ex ospedali di zona operano al di fuori della legge. La rete assistenziale sanitaria non riconosce i posti di primo soccorso. Esiste il Pronto Soccorso, che è ben altra cosa. Lì operano sia medici che ausiliari esperti in medicina durgenza, cosa che non avviene nei cosiddetti punti di primo soccorso. Faccio lesempio di Isola del Liri, dove il primo soccorso avviene in un prefabbricato esterno, grazie alla buona volontà di medici e infermieri che non potrebbero affatto occuparsi di medicina durgenza. La riprova? In caso di infortunio, lambulanza del 118 non è autorizzata a portare i pazienti in queste strutture e quindi percorre decine di chilometri pur di arrivare a Sora o Frosinone. Insomma, per un attacco dasma, ancora si può morire in quelle zone.
Lo stesso può dirsi in altre province. Gli abitanti di Amatrice, ad esempio, dovranno fare 60 km per raggiungere lospedale più vicino. E anche qui limprovvisazione regna sovrana. È bastata lalzata di voce del capogruppo del Pd alla Pisana, viterbese doc, per far sì che il commissario Marrazzo, il giorno dopo, escludesse i presidi dellAsl di Viterbo dal novero delle strutture da chiudere. È politica sanitaria questa? Lorganizzazione socio-assistenziale non si può improvvisare. Dire che Roma ha troppi ospedali in centro storico è una banalità. Roma non è Madrid, Parigi o Londra. Ha un tessuto urbano unico, irripetibile. Mi chiedo: perché si è provveduto pochi mesi fa alla ristrutturazione dei reparti di rianimazione del S. Giacomo (il più moderno del Lazio) di cardiologia, di endoscopia digestiva, della farmacia interna e ora si butta tutto. Chi paga? Perché non si è ridimensionato invece il San Giovanni-Addolorata, che da solo accumula circa 90 milioni di euro di disavanzo annui, triplicati dal 2005? Per questo i pazienti, i medici e gli ausiliari del San Giacomo si sentono, a ragione, traditi, perché nessuno ha spiegato loro il motivo della chiusura. Sono vicino ai dializzati del San Giacomo che minacciano lo sciopero delle terapie: mi auguro che ci ripensino in modo da non compromettere il loro stato di salute. Insieme troveremo una soluzione.
La manovra di Marrazzo è sbagliata. La chiusura di posti letto di per sé non costituisce affatto una diminuzione della spesa, o almeno la rappresenta in misura trascurabile. La riorganizzazione del sistema è altra cosa. Inizia col valorizzare quello che a parità di condizioni costa meno, e cioè il privato in convenzione. Ben il 27 per cento in meno rispetto al pubblico. Invece qui si opera al contrario: guerra alla sanità privata. Laccordo con lAiop, firmato a luglio scorso e poi inspiegabilmente disatteso, è la riprova di come si stia procedendo.
* Presidente dellOsservatorio Sanità e Salute e della Commissione Industria e Commercio del Senato
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