La Compagnia che trasforma l’«io» in Opere

Presentati i successi dell’associazione che mette in pratica le idee di don Giussani

La Compagnia che trasforma l’«io» in Opere

Silvia Pedemonte

Dalla splendida cornice che ospita l’incontro - la Galleria di Arte Moderna, ai parchi di Nervi - ognuno sembra voler catturare una tonalità, una sfumatura decisa capace di colorare le parole e farle arrivare dritte alla mente - qualche volta al cuore - di chi ascolta.
Via Capolungo 3, assemblea generale Compagnia delle Opere Liguria: i bilanci restano chiusi nelle cartelline distribuite ai soci. Perché sono traguardi, già raggiunti. Perché sono cifre, e oggi c’è dell’altro su cui parlare. Qualcosa che è già domani. Oggi si parte da qui, dalla recente pubblicazione del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, il professore universitario Giorgio Vittadini: si chiama «Un “io” per lo sviluppo», quel libro che ben presto, nelle mani, nella mente, nelle parole di chi parla diventa un grande quadro da ridipingere. Per ognuno, con una sfumatura differente. Perché parlare dell’«io per lo sviluppo» è entrare in un luna park delle possibilità, dove i movimenti verticali dalla totalità al singolo e viceversa si rincorrono, dove la politica si intreccia con la quotidianità, prende il volo verso l’Europa e torna. Già, torna. Torna da quelle due lettere messe una accanto all’altra. Perché sembra facile, dire «io». Sembra, appunto.
Il primo colore è il verde limpido delle parole di Marco Castagnola, presidente della Compagnia delle Opere della Liguria che, seguendo il credo di don Giussani («la Compagnia delle Opere è più fatta, che pensata») detta la linea: «In un momento in cui il nostro Paese è in difficoltà, mettere a tema lo sviluppo è cruciale». Il verde, e il giallo caldo. Quello del presidente della Camera di Commercio di Genova, Paolo Odone, quando parla della sua concezione di sviluppo, in un’immagine: «Spesso è come se fossimo con la faccia a pelo d’acqua, in un mare allestito a festa, con tutti i lumini. Se restiamo immobili, ne vediamo cinque, magari sei. Ma basta alzare lo sguardo, per vederne migliaia».
Rosso porpora per il diessino Mario Margini, che cavalca la crisi («la gente minimizza la situazione in cui ci troviamo»), critica perfino le cooperative per la «mancanza di quel soggettivismo che in passato legava l’ideologia ai comportamenti» e infine getta il panico con il suo «il Paese non si rende conto che senza una mobilitazione eccezionale andiamo in un tunnel, lungo e scuro. E non ci risolleviamo più».
Poi, c’è l’azzurro. Poi, c’è l’«io». Il vero nodo, della discussione. Quello scoperto alla fine, nelle parole del presidente Nazionale della Compagnia delle Opere, Raffaello Vignali. Perché, in fondo, parte tutta da lì, la risalita. «Bisogna capire che la dinamica dello sviluppo è la dinamica della vita: un bambino cresce perché sa che l’errore non è l’ultima parola, che c’è qualcuno pronto ad amarlo più di quanto quella stessa persona ami se stesso. Uno può dire «io» quando si accorge che c’è qualcuno che lo ama più di ogni cosa». Nasce da lì, lo sviluppo, per Vignali: «da quella gratitudine che diventa gratuità; da quella tensione verso la vita, nella consapevolezza di non possederla mai interamente.

Solo chi non ha paura della vita si impegna. E noi vogliamo proprio questo: una vita che c’è, che tenta, che prova e magari anche sbaglia, ma che, soprattutto, fa esistere e crescere. Quel cemento ideale, capace di diventare sociale».

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