Il compagno Eduardo e gli esami della sinistra che non finiscono mai

Sotto il titolo «D’accordo con Eduardo: fujtevenne ’a Napule» il Giornale pubblica una lettera firmata da Vittorio Gennarini il quale, rifacendosi a Eduardo De Filippo, esorta i suoi concittadini a scappare da Napoli, che definisce capitale mondiale della truffa e della corruzione. Non voglio entrare nel merito della lettera, sotto ogni aspetto esagerata, ma in quello dell’affermazione che Eduardo ebbe a pronunciare in occasione di una visita al riformatorio di Nisida: «Guagliu’, fujtevenne ’a Napule!» (ragazzi, scappate da Napoli!). Frase, anzi grido di dolore, ampiamente reclamizzata dalle persone come-si-deve (quindi, di sinistra) e che amici napoletani mi dicono aver contribuito alla decisione di molti giovani di lasciare la città. Quel che mi sfugge sono i motivi che indussero quella che è una delle più preziose icone della sinistra a pronunciarla.
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Da buon marxista, Eduardo De Filippo riteneva, o quanto meno dava a intendere di ritenere che nessuno è davvero responsabile delle proprie azioni e che dunque i reclusi nel riformatorio di Nisida avevano infranto la legge non per propria volontà, ma in quanto indotti a delinquere dalla società marcia, dalla cultura dominante e in ultima istanza dalle sciagurate istituzioni. E che di riflesso Napoli era diventata invivibile e brodo di coltura della criminalità per colpa di chi l’amministrava. Ai tempi, chi l’amministrava era Achille Lauro, uomo di destra, addirittura qualunquista prima e monarchico poi, che, s’intende, il comunista De Filippo detestava: perché di parte politica avversa, perché eletto sindaco di Napoli andando a occupare un posto che sarebbe spettato di diritto a Botteghe Oscure e perché «’O comandante» era ammirato e benvoluto dai napoletani che gli manifestavano il proprio consenso riversandogli 300mila preferenze a mandato. E quando si presentò candidato al Parlamento, gliene piovvero addirittura 680mila. Siamo d’accordo, gentile lettrice, che la Napoli di Achille Lauro non potrebbe definirsi la città ideale, ma se confrontata con quella Bassolino&Iervolino era una città migliore anche e soprattutto per la qualità della vita. Certo, vigeva sia la «scugnizzaggine» sia quella sottoforma di lavoro che si riduce nel «darsi da fare», un «fare» non sempre rispettoso della legge. Ma Napoli non era incattivita come lo è oggi, il crimine non era organizzato come lo è oggi e lo sbando civico - vedi il caso «monnezza» - non così avvertito come lo è oggi. Quando il grosso della criminalità è rappresentato, com’era rappresentato ai tempi di Lauro, dalle Concetta Mucciardo (la venditrice di sigarette di contrabbando che ispirò il personaggio di Adelina nel film Oggi, ieri e domani interpretato da Sophia Loren) non c’è bisogno, come ha dovuto fare Iervolino, di regalare ai turisti orologi di plastica onde preservare i propri dall’immancabile, preventivato scippo. Senza dire che le sigarette faranno anche male, ma lo fa di più l’eroina spacciata in pieno giorno dagli Adelini della Napoli progressista.
De Filippo non era certo stupido, sapeva che Lauro amministrava al meglio una città difficilmente amministrabile e che rendeva scanzonatamente felici i napoletani. Il suo «Guagliu’, fujtevenne ’a Napule!» non fu dunque un’esortazione morale, ma un gesto politico. Stava per: «Fujtevenne ’a Lauro». E gliela possiamo anche perdonare, gentile lettrice, perché quella trombonata è stata ripagata dalle tante cose egregie che Eduardo scrisse o interpretò. L’uomo non fu simpatico, aveva quel pessimo carattere definito, napoletanamente, carognoso. E ne seppe qualcosa il fratello Peppino. Però, sulla scena, diciamoci la verità: ci sapeva stare come pochi.

E memorabili restano i suoi Natale in casa Cupiello, Questi fantasmi, Filumena Marturano e Gli esami non finiscono mai. Un grande teatrante, insomma (e infatti chi lo nominò senatore a vita se non il più teatrante dei nostri Presidenti, Sandro Pertini?).

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