Intanto, chiariamolo subito: questo non è un articolo, ma un messaggio in codice. Chi lo scrive, naturalmente, è un agente segreto. E a chiedermi l'intervento (anzi, la missione) non è stato il direttore, ma James Bond in uno dei suoi migliori travestimenti (pensate che assomigliava incredibilmente a Maurizio Belpietro). Lo diciamo per rassicurare Massimo D'Alema che nel suo discorso alla direzione dei Ds ha accusato il Giornale di «spionaggio». Complimenti, presidente, come ha fatto a scoprirci? Lo vede che non è vero che sa andare forte solo con il bianchetto e con la vela? Ebbene sì, lo confessiamo: questa non è una redazione. È un covo di implacabili Mata Hari.
Almeno, così eravamo convinti. Adesso, per la verità, dopo aver sentito quel discorso ci viene il dubbio di non essere abbastanza bravi. Eh sì, perché nonostante i nostri formidabili mezzi d'intercettazione e il satellite messo a disposizione dalla Nasa, ci sfugge il senso di alcune frasi. Per esempio, che vuol dire il presidente dei Ds quando afferma che, nel caso delle telefonate tra Fassino e Consorte, «siamo di fronte a qualcosa di diverso da altre intercettazioni»? Vuole forse dire che le intercettazioni pubblicate dal Giornale sono diverse da quelle stampate dagli altri quotidiani? E perché? Che c'è che non va? L'inchiostro sbagliato? Il carattere tipografico? Perché se un qualsiasi mezzo d'informazione pubblica delle notizie viene elogiato perché fa uno scoop e noi invece veniamo accusati di fare spionaggio?
Proprio non riusciamo a capire. Chissà: forse verrà ad aiutarci la Cia. Magari ci manda un microfilm con le risposte esatte: che ne dice, presidente D'Alema? Noi ci mettiamo la barba finta e via, verso nuove avventure: che ci toccherà ora? La missione Goldfinger? L'operazione Scorpius? La lotta contro la terribile Spectre? James Bond aiutaci tu: noi non vogliamo che il nostro futuro resti a lungo top secret.
Siamo fatti così, in effetti: agenti segreti molto speciali. Non riusciamo a tenere nulla per noi. Se sappiamo una cosa, la stampiamo su un giornale e la rendiamo pubblica: c'è qualcosa di più lontano dal silenzio e dalla riservatezza che dovrebbero essere la regola aurea di un vero 007? Noi siamo lieti che D'Alema ci riconosca ancora la patente di spioni doc, ma forse - dobbiamo ammetterlo - non ne siamo degni: i veri spioni non condividerebbero mai col mondo intero le loro informazioni. Caso mai avesse qualche dubbio, il presidente Ds chieda agli amici di Mosca (forse gliene è rimasto qualcuno) di rinfrescargli la memoria. Loro gli spiegheranno come si comportano i veri agenti segreti, gente seria, come quelli del Kgb.
Noi, che ci volete fare?, non resistiamo: diamo le notizie agli altri. Per questo, non saremo mai davvero Mata Hari. Però, adesso, visto che il danno l'abbiamo fatto rendendo pubbliche quelle telefonate, ci aiuti D'Alema a risolvere l'ultimo dubbio che nessuna radiospia e nessuna direzione dei Ds, è riuscito a sciogliere: esse erano vere o no? E se, come risulta a tutt'oggi, erano vere, il problema è che qualcuno le ha pubblicate o, piuttosto, che qualcuno le ha fatte?
Non ci vuole mica James Bond per trovare la soluzione. Il fatto è che da quando sono stati beccati a parlottare con gli artefici delle scalate bancarie, oggi accusati di associazione per delinquere, i leader diessini hanno perso un po' di lucidità.
E così continuano a comportarsi come quei bambini che, sorpresi con le mani nella marmellata, si giustificano accusando il fratellino: «Sei tu che l'hai detto alla mamma». Il problema non è chi l'ha detto alla mamma: il problema è che il bimbo ha le mani nella marmellata. E che la marmellata fa venire il mal di pancia. È semplice, no? Eppure, chissà, perché Fassino e D'Alema anziché cercare di spiegare al Paese quello che è successo, continuano a inventarsi assurde storie di complotti, congiure, misteriose orchestrazioni e spionaggi.
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