Le congetture a senso unico sul Ciampi-bis

Francesco Damato

Il simpatico Mike Bongiorno, felicemente alle prese con la corte che gli fa la Rai nel cinquantesimo anniversario della fortunata trasmissione da lui condotta nei primi anni della televisione italiana, se la caverebbe chiedendo in modo diretto a Carlo Azeglio Ciampi: «Lascia o raddoppia?». Gianfranco Fini l’ha presa invece alla larga, nei tempi e nei modi della diplomazia che guida come ministro degli Esteri. Egli ha voluto forse anche sondare umori e aspirazioni del presidente della Repubblica prospettandone in una intervista la rielezione alla scadenza del suo mandato, fra sei mesi.
Sembra però che Ciampi non abbia molto gradito. Ciò che ha detto ieri in Turchia, dov’è in visita ufficiale, ha confermato le anticipazioni negative dei cronisti che lo seguono abitualmente e ne raccolgono anche i sospiri, a volte addirittura virgolettandoli. C’è stato persino chi ha presentato la sortita pur simpatizzante di Fini come «una pillola avvelenata». Che sarebbe stata offerta al povero Ciampi allo scopo di mettere la parte conclusiva del suo mandato nel micidiale “tritacarne” di una doppia campagna elettorale: quella vera dei partiti, che si contendono la maggioranza dei seggi nelle nuove Camere, e quella fantomatica dello stesso presidente della Repubblica, che accorderebbe o negherebbe la promulgazione di certe leggi in arrivo sulla sua scrivania guardando agli effetti che potrebbero derivare ai fini di una conferma nell’incarico.
Se non hanno dato a Fini anche del menagramo poco è mancato. Sentite il calcolo che la Repubblica gli ha in qualche modo attribuito commentandone la disponibilità a sostenere la rielezione del presidente: «Ciampi sta per compiere 85 anni, è lucido e in straordinaria forma, ma un altro settennato lo vedrebbe concludere il suo ciclo politico a 92 anni. Sono tanti. Forse potrebbe decidere di ritirarsi a metà del secondo mandato. E questo offrirebbe al Polo, e magari allo stesso Berlusconi, la possibilità di rientrare in partita e di riaprire in corsa la gara per il Quirinale», anche nel caso in cui al centrodestra dovesse capitare in primavera di perdere le elezioni e di tornare all’opposizione. Già, perché a spiegare la proposta finiana di un secondo mandato a Ciampi sarebbe, sempre secondo la Repubblica, «la disperazione di un gruppo dirigente che sente vicina la fine dell’impero e cerca affidamento o vie di fuga per il dopo».
Novantadue anni, quanti Ciampi ne avrebbe alla fine di un secondo mandato presidenziale, sono certamente «tanti», come ha scritto il giornale che è insorto in sua difesa contro la sortita di Fini. Ma perché mai il presidente, in buona salute com’è, grazie a Dio, e come certifica anche chi vorrebbe proteggerlo dalla «pillola avvelenata» del ministro degli Esteri, dovrebbe «decidere di ritirarsi» a metà del suo secondo eventuale mandato? È altro evidentemente che si è voluto e si vuole maliziosamente far passare nella mente di Fini. È ciò che passò in quella di Flaminio Piccoli nelle votazioni presidenziali del 1978. Egli prima osteggiò, ma poi si rassegnò alla candidatura del socialista Sandro Pertini invitando i democristiani più riluttanti a considerarne l’età come ragionevole condizione per una fine anticipata del mandato.

Che il presidente invece portò a termine felicemente, tanto da lasciarsi tentare dalla rielezione sulla bella soglia degli 89 anni, pur mostrando fastidio quando si cominciò a parlarne e a scriverne sui giornali. Ma quello mostrato ieri da Ciampi in Turchia è probabilmente un fastidio più sincero.

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