Conti pubblici, la Ue sbatte la porta al governo

Per il mancato calo del debito niente sconti all’Italia «Non siete certo come la Francia, loro abbassano le tasse»

da Roma

Venerdì scorso, Tommaso Padoa-Schioppa ha avuto un contatto con la Commissione europea. Il primo dopo il varo del Dpef. Dall’altra parte del telefono il ministro dell’Economia non ha trovato parole concilianti e comprensive per la scelta dell’Italia di aumentare il deficit di quest’anno dal 2,1 al 2,5%; tantomeno per la decisione di non rispettare nel 2008 la correzione strutturale dello 0,5% del pil, prevista dal Patto di stabilità. Per non parlare della volontà di abolire o addolcire lo «scalone» previdenziale.
Al contrario, al ministro è stata trasmessa - netta - la sensazione che difficilmente all’Italia verrà concesso uno sforamento del deficit. Nemmeno se si metterà sulla scia francese. Di questo avrebbero parlato Prodi e Padoa-Schioppa nell’incontro di ieri a Palazzo Chigi.
Durante l’ultimo vertice di maggioranza, il ministro dell’Economia aveva fatto capire ai partecipanti che l’aumento del deficit sarebbe stato digerito (seppure a fatica, ma digerito) dalla Commissione, in quanto anche la Francia avrebbe fatto una richiesta analoga. Ed in effetti, al prossimo Eurogruppo del 9 luglio sarà lo stesso Nicolas Sarkozy a volare a Bruxelles per illustrare ai ministri dell’Economia dell’Unione Europea il proprio programma economico. Programma che, in materia di finanza pubblica, punta su uno «choc fiscale» per favorire la crescita. Cioè, su un abbattimento della pressione fiscale sufficientemente generalizzato; tale da impedire a Parigi di rispettare la data del 2010 quale appuntamento per l’azzeramento del deficit: obbiettivo che Sarkozy conta di raggiungere nel 2011. Oggi il deficit francese viaggia intorno al 2,6% del pil.
La Commissione è contraria all’operazione francese. E con essa anche la presidenza di turno portoghese (il premier Socrates l’ha ripetuto anche ieri); non foss’altro per gli sforzi fatti da Lisbona per uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Ma soprattutto la Germania è contraria al mancato rispetto del Patto di stabilità da parte della Francia (e da parte di chiunque altro), viste le manovre di risanamento fatte negli ultimi anni.
In questa situazione di tensione europea, si inserisce il Dpef. Padoa-Schioppa e Prodi sono convinti - lo ha detto lo stesso ministro durante il vertice di maggioranza - che un «asse» italo-francese potrebbe riproporre quel che avvenne nel novembre del 2003. Quando la Francia e la Germania riuscirono a congelare la procedura di deficit eccessivo, avviata dalla Commissione nei loro confronti.
Insomma, secondo Palazzo Chigi, se l’Italia si allea con la Francia nel mancato rispetto del Patto (come ha fatto con il decreto sul tesoretto che fa aumentare il deficit) le critiche della Commissione potrebbero essere contenute. Ma da Bruxelles continuano ad arrivare quotidianamente segnali negativi su questa strategia.
Gli interlocutori del ministro gli avrebbero ricordato che le condizioni della finanza pubblica italiana e di quella francese sono profondamente diverse. In primo luogo, per il diverso livello di debito pubblico: quello italiano sopra il 105% del pil; quello di Parigi intorno al 67% del pil. Eppoi, per le ragioni dello sforamento del deficit. Sarkozy vuole aumentarlo per ridurre la pressione fiscale; Prodi per aumentare - come ha fatto con il decreto sul tesoretto - le spese.
È vero - dicono a Bruxelles - che il Patto di stabilità non prevede aumenti del deficit in nessun caso; soprattutto quando la congiuntura è positiva (e in questo momento lo è). Ma anche la «qualità» dello sforamento viene presa in considerazione. Soprattutto se ad aumentare le spese è un Paese che ha problemi a ridurre il livello del debito.
Insomma, per Padoa-Schioppa la strada verso l’Eurogruppo di lunedì prossimo si fa in salita.

E certo, il negoziato per l’abolizione dello «scalone» previdenziale non aiuta. La Commissione europea lo dà per acquisito. Insomma, per il proprio Dpef Prodi non ha alleati. Non ha la Francia, che gioca una partita sua; non ha la Germania; non la presidenza di turno.

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