Le contraddizioni del governo su Italtel «Prodi non sapeva della vendita, anzi sì»

Il sottosegretario Levi ora fa dietrofront: il Prof al corrente dell’accordo col gruppo tedesco

Sullo scivoloso caso Siemens-Italtel, e sul ruolo ricoperto nella svendita ai tedeschi da parte dell’attuale premier quand’era presidente Iri, l’avvertimento della deputata al sottosegretario non era stato certo conciliante: «Mi chiedo se Lei sia consapevole (spero di sì vista la sorte toccata al suo collega Rovati) di aver già reso false dichiarazioni al Parlamento nel corso dello svolgimento della prima interpellanza urgente e che non è opportuno indugi nello stesso atteggiamento». Il suggerimento dell’azzurra Michaela Biancofiore lanciato giovedì nell’aula parlamentare nell’immediatezza della nuova controreplica del sottosegretario Ricardo Franco Levi, a dirla tutta, non sembra aver sortito effetto. Perché le risposte del braccio destro del presidente del Consiglio hanno rafforzato la convinzione che il «padre di tutte le privatizzazioni», ogniqualvolta sorge un problema con una di queste, lascia di sé l’immagine di uno che se c’era, dormiva.
Se nel rispondere alla prima interpellanza, Ricky Levi aveva specificato che Romano Prodi praticamente non sapeva assolutamente nulla della vendita di Italtel a Siemens, nella seconda versione - forse perché incalzato dalle novità emerse dall’indagine di Bolzano e dall’inchiesta del Giornale nonché da un comunicato boomerang di Palazzo Chigi del 18 aprile - ammette ora che è «ovvio» che il presidente dell’Iri «fosse al corrente delle operazioni di maggior peso strategico in corso da parte delle principali società del gruppo», ma... - terza versione - «solo la Stet (che controllava Italtel e che era controllata dall’Iri, di Prodi, ndr) aveva il potere di negoziare, decidere, realizzare la vendita di Italtel». All’Iri, insomma, la Stet era tenuta a fornire «unicamente un’informativa, cioè una comunicazione, successivamente al perfezionamento dell’operazione o all’assunzione della delibera». Ma anche qui le cose proprio non tornano: Prodi - dice Levi una prima volta - sapeva vagamente delle maggiori operazioni in corso; Prodi - precisa Levi in seconda battuta - sapeva a cose fatte, successivamente, con una asettica informativa. Putroppo per il povero Levi, chiamato dal Professore a metterci la faccia al posto suo, c’è una terza verità. Ed è quella delle lettere che il presidente di Siemens Ag, Jur Heinrich von Pierer (travolto dallo scandalo, ha recentemente rassegnato le dimissioni) invia personalmente all’allora presidente dell’Iri, oggi premier. Due missive che dimostrano un interesse diretto di Romano Prodi alla trattativa. Proprio il Giornale il 20 aprile scorso ne aveva individuata una di fine gennaio 1994, ovvero tre mesi prima della formalizzazione dell’accordo tra Siemens e Stet, indirizzata dal boss di Siemens proprio a Prodi. Si fanno riferimenti importanti «all’accordo sull’azionariato della società comune tra Italtel e Siemens telecomunicazioni» a cui, si legge, dovrebbero seguire le firme di Michele Tedeschi, all’epoca ad di Stet, vicinissimo a Prodi, e del parigrado tedesco Hardt. Il secondo pezzo di carta, siglato sempre da von Pierer, è la bozza di un’altra lettera personale al «presidente dell’Iri, Romano Prodi» e datata 16 maggio 1994, di soli quattro giorni successivi l’accordo italogermanico, dove ci si riferisce espressamente alla joint venture appena formalizzata. Ad affare ormai concluso, von Pierer scrive: «Invitare anche le mogli di Prodi e Tedeschi a Monaco». Per uno che non ne ha mai saputo niente, che ha appreso dell’accordo da un’informativa, l’invito da parte di un estraneo che sembra in realtà un vecchio amico riconoscente, col senno di poi stona un po’. Come stona la circostanza che Tedeschi, otto anni dopo, diventi presidente proprio di Siemens Italia.
A sorpresa, checché ne dica la procura di Bolzano, e al di là delle evidenze nero su bianco delle lettere spedite chiaramente all’allora presidente dell’Iri, per Levi «si tratta con tutta chiara e dichiarata evidenza di corrispondenza di cui Prodi non era né il destinatario, né il mittente e di cui comunque non era a conoscenza. Chiedere a lui conferma del contenuto, o anche solo dell’esistenza, di queste lettere appare illogico». Le lettere non erano indirizzate a Prodi? Non occorre chiedere al premier conto del contenuto di documenti che lo smentiscono? Negare l’evidenza per non rispondere - secondo un’arrabbiatissima Michaela Biancofiore - «è un oltraggio al Parlamento». Una scappatoia di fronte al ruolo di Prodi che un rapporto della Siemens loda oltre misura: «Meno male che si è concluso l’accordo con Romano Prodi alla presidenze dell’Iri» perché l’avvento di Silvio Berlusconi al governo avrebbe potuto rimuovere Prodi dall’Iri, far saltare l’affare Siemens-Italtel e far migliorare l’offerta da parte degli altri competitori, fra cui l’At&t recentemente ritiratasi dalla corsa Telecom proprio a seguito dell’interferenza del governo (Prodi). Quanto ai funzionari condannati per tangenti - collegati al faccendiere Parrella - che Prodi si è tenuto in «famiglia», Levi ha replicato così: «Prodi scrisse una lettera dove sottolineava che qualora dovessero evidenziarsi comportamenti difformi sarà inevitabile, come conseguenza del venire meno del rapporto fiduziario, procedere all’adozione di drastiche misure». Peccato che, alla prova dei fatti, quelle misure Prodi non le prese. E che dire del riferimento di Levi al fatto che il Professore «non è indagato (nessuno l’ha mai scritto, ndr) e che il procuratore di Bolzano ha smentito un possibile ruolo di Prodi nella vicenda» quand’è vero l’esatto contrario stando all’intervista (basta leggerla) rilasciata al Giornale il 19 dicembre dal procuratore Cuno Tarfusser.

Ci sarebbe da dire, e tanto, sui rapporti di Romano Prodi con la società «Ase» e la banca d’affari «Goldman Sachs» perché anche qui Levi è incorso in alcune, gravi, inesattezze. Ma occorrerebbe un’altra pagina. Ne parleremo presto.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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