Contrordine, Selva non si dimette più

L’esponente di An ritira la lettera che presentò dopo aver usato un’ambulanza per evitare il traffico

Contrordine, Selva non si dimette più

da Roma

Gustavo Selva ci ripensa: «I cittadini mi invitano a restare e perciò ritiro le dimissioni». Si chiude così una vicenda iniziata il 9 giugno, in occasione della visita a Roma del presidente americano George W. Bush. Quel giorno il senatore di An salì su un’ambulanza per raggiungere gli studi de La7, aggirando il traffico causato dalle manifestazioni anti-Bush. «Assumo su di me - spiega Selva - la responsabilità politica di ritirare le dimissioni presentate con lettera l’11 giugno. Lo faccio per rispetto vostro». In un lungo intervento in aula, Selva illustra le sue ragioni. Attacca Livia Turco per aver definito l’episodio dell’ambulanza «indegno». Con la grinta dei giorni migliori, quando, direttore del Gr2, a sinistra era soprannominato «Radiobelva» per il suo veemente anticomunismo, il senatore dice del ministro che «il lessico vetero-comunista resta duro a morire anche per un post comunista». La Turco affermò che «il bilancio poteva essere più tragico se un’altra persona avesse avuto bisogno dell’ambulanza». Ma questo, assicura Selva, «non poteva accadere perché l’ambulanza era solo per chi si trovava a Palazzo Chigi». Selva racconta di aver tentato «per 30 minuti di far arrivare un taxi almeno fino a ponte Cavour, invano». Inoltre, «quelle concitate telefonate mi provocarono fibrillazioni e quindi sono stato messo sull’ambulanza di Palazzo Chigi e portato all’ospedale San Giacomo. Poi mi sono ristabilito e mentre Palazzo Chigi mi proponeva un’altra auto, con l’autista dell’ambulanza si è deciso che fosse lui a portarmi a via Novaro», allo studio de La7. Il senatore evoca ironico il 25 luglio ’43: «64 anni fa un’altra ambulanza fece storia. Mi auguro di non fare la fine dell’ospite di allora», cioè Benito Mussolini che sull’ambulanza ci finì arrestato per ordine di Vittorio Emanuele III. Citando alcune pesanti e-mail arrivategli in quei giorni («maledetto ladro», «cane»), rivendica di «non essere mai stato toccato da una sola accusa di corruzione, concussione, tangenti, mafia o cocaina». Ma gli hanno scritto anche quanti volevano che conservasse il suo scranno. Tra l’altro, «un voto in meno del centrodestra al Senato è un giorno in più per il governo». Questa era la posta in gioco, essendo la maggioranza a Palazzo Madama «intermittente». Peraltro, se le dimissioni fossero state confermate e accettate, gli sarebbe subentrato il veneto Paolo Danieli, ex senatore di An, ultimamente in attrito con il partito per le scelte sulle candidature alle ultime amministrative. Infatti la querelle non si placa. «Mi vergogno di quest’aula» sbotta Rina Gagliardi (Prc): «Selva, protagonista di un episodio inqualificabile, aggiunge uno scherno che offende la dignità di questa assemblea».

Risponde Francesco Giro (Fi) che «le reazioni della sinistra sono grottesche», perché proprio in Senato «da più di un anno una maggioranza sgangherata costringe, pur di sopravvivere, delle anziane persone a restare incollate ai loro scranni anche per molte ore di fila».

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