Politica

Coppie gay, ancora crisi nell’Unione di fatto

Roberto Scafuri

da Roma

Patti civili di solidarietà (Pacs) contro Contratti di convivenza solidale (Ccs). Riconoscimento pubblico o scrittura privata. L’Unione - non di fatto, ma di diritto - si ritrova in mezzo alla solita babele di lingue. Di parole in libertà, dette e contraddette, di pericolosissime «dissimulazioni» per raccattare voti o non perderne, di «ipocrisie e strumentalizzazioni» (come dice Pecoraro Scanio). La questione non si gioca soltanto «al ribasso» sui diritti civili (come accusa il ds Grillini), ma ormai sulle parole. Giurisprudenza che assomiglia tanto all’Azzeccagarbugli. «Vedo che alcuni amici - dirà il leader ds Fassino -, anche nell’Unione, non amano il termine, l’idea di un “patto civile di solidarietà” e preferiscono parlare di “contratto”. A questi amici dico: non concentratevi sulle parole, anche perché un contratto per produrre effetti validi, ha bisogno di una legge che lo riconosca. Siamo d’accordo sulla sostanza?».
La sostanza, però, piuttosto che «dare dignità e strumenti di tutela giuridica a due persone che scelgono liberamente di condividere gli affetti, la casa, il proprio futuro», come dice Fassino, pare la solita ricerca di spazi da parte del leader dl Rutelli. Si ritiene libero da vincoli di coalizione, e lo rivendica: «Su questo argomento ognuno può dire quello che crede, che poi contribuirà a una posizione unitaria, che non vi è ancora». Fatto è che Prodi, neppure una settimana fa, aveva solennemente promesso a conviventi civili, omosessuali eccetera che «tutti i leader dell’Unione sono d’accordo per la regolamentazione dei diritti delle unioni di fatto, secondo il progetto di legge Grillini, sottoscritto da 161 parlamentari» (per lo più di sinistra, ma anche molti della Margherita). Ma Rutelli non ci sta a perdere una buona occasione per caratterizzarsi. Rimarca l’«intangibilità» della famiglia, la «marginalità della questione per la maggior parte delle persone». Due slogan: «il matrimonio è uno e deve restare uno»; «la maggior parte della società non deve essere condizionata dall’agenda politica ideologica di una parte della nostra coalizione».
Ce n’è quanto basta perché l’iper-prodiano Arturo Parisi ricordi che «non è bene approfittare degli aggettivi per dividerci sui valori, ho idea che con i giochi di parole si faccia poca strada e per di più nella direzione sbagliata». L’arguto socialista Roberto Villetti sottolinei invece che «l’Unione sull’argomento aveva già fatto una scelta, ma le parole di Rutelli non sono rivolte solo a un cambio di nome, vogliono ridurre il riconoscimento delle unioni di fatto a una scatola vuota». E perché il ds Manconi si dichiari stupito del voltafaccia di chi «ritiene inopportuna quel civilissimo pdl in quanto ritiene erroneamente che possa far perdere voti, ma quando mai la dissimulazione ha fatto vincere le elezioni?». Il rifondatore Pisapia, relatore della pdl di legge, ritiene così «inutile e dannosa il Ccs di Rutelli» e chiede all’Unione una pronuncia «univoca e senza tentennamenti».
E Prodi? Il leader è costretto all’ennesimo rattoppo. «Parliamone con serietà e serenità... Bisogna stare molto attenti a non cadere in divergenze che sono puramente terminologiche», minimizza. Ma intanto ha dovuto snocciolare il suo vangelo a un settimanale per rispondere all’offensiva rutelliana: «Non ho mai parlato di matrimoni omosessuali, sono contrario alle nozze gay, ho sempre detto che i bambini devono avere padre e madre, è ben strano chiamare proprio me “sfasciafamiglie”... Ecco perché mi sorprende il fraintendimento. Però non possiamo chiudere gli occhi di fronte ai fenomeni sociali e ai problemi delle persone, non si possono discriminare le persone sulla base dei loro orientamenti sessuali... ». Quanto basta a rassicurare Rutelli. Fino al prossimo «sì, però...

».

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