Il Papa ha dovuto diplomatizzare lo scontro nato dalla citazione di Manuele Paleologo. La piazza islamica era immediatamente insorta contro il giudizio dell'imperatore che pur contiene in sé tanta parte di verità. Certo, l'Islam non è né tutto né solo violenza. E del resto non è la sola religione ad aver usato mezzi coercitivi per imporre le sue dottrine. Lo ha fatto anche il Cristianesimo. La fine della coercizione religiosa in Occidente non ha più di due secoli. Ma è certo che nessuna religione ha avuto la capacità di imporre per principio con la forza il suo credo quanto l'Islam. Benedetto XVI ha fatto risalire nel suo discorso a Ratisbona questa scelta alla essenza stessa dell'Islam: Dio visto come volontà di potenza che impone ai credenti di obbedirlo e servirlo e non riconosce né la preesistenza di vincoli naturali né la possibilità di evitare la scelta. Il Papa doveva ricucire i rapporti con il mondo islamico dopo aver detto la verità proibita. La società delle comunicazioni ha fatto delle masse islamiche un protagonista del nostro tempo, sicché il sentimento che ne nasce è la soggezione. Proprio per il fatto che l'Islam è una religione e parla di Dio in termini simili ma non omologhi alla fede cristiana, esso ha acquisito il volto di un messaggio trascendente che fa dei suoi militanti una forza spirituale, una forza che si impone sia con la dignità del suo messaggio sia con la potenza delle sue masse.
Il Papa non poteva che riparlare di fronte all'Islam la piattaforma di linguaggio che nasce dal Vaticano II: un linguaggio che vuole nascondere le chiarezze della dottrina e le asperità del reale in modo da celare i conflitti sotto l'armonia dei segni.
Il Papa doveva farlo perché non sarà solamente suor Leonella a pagare il coraggio di Benedetto XVI: la shaaria invisibile censura la chiarezza in Occidente e la vita nelle terre islamiche.
Benedetto non ha più parlato dello spirito di Assisi e delle intese religiose. Su questo punto il dialogo non ha senso. L'Islam non conosce il logos, cioè l'uso della ragione interpretativa nella lettura dei testi sacri, e quindi viene meno il dialogo. Non dialogando con il Corano, il musulmano non può nemmeno dialogare con il cristiano. Ma che l'antico imperatore sia sorto a dire la verità che tutti conoscono, cioè l'uso della forza come essenziale al concetto di Dio che ha l'Islam, è una cosa rallegrante. Il Papa ci ha fatto sognare perché ha dato ai cristiani e ai laici occidentali il coraggio di non aver paura dell'onnipresenza e della potenza dell'imposizione musulmana.
Magdi Allam giustamente afferma che gli Stati non hanno autorità nel mondo islamico, ma è appunto per questo, perché sono un'impronta dello Stato occidentale, che il Papa li ha scelti come interlocutori. Essi hanno benedetto la iniziativa papale e la presenteranno ai loro governi e soprattutto ai loro popoli come un cedimento di Roma. Ma noi sappiamo che il vero Ratzinger e il vero Papa sono nel discorso di Ratisbona e, con lui, il popolo cattolico. Era meglio se il Papa non avesse fatto sorgere dal silenzio l'imperatore e fosse rimasto solo il linguaggio che nasconde il reale? Non crediamo: meglio aver detto una verità scomoda che avere nascosto una verità conosciuta da tutti. Certamente rimarrà il giudizio del «partito intellettuale» che Benedetto ha svolto una lezione da professore dimenticando di essere il Papa. Ma invece crede e sa riconoscere nel gesto papale il coraggio della parola. Vi è il timore che l'imposizione della shaaria diventi sempre più reale e dell'Islam non si possa dire che bene.
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