Corea del Nord, Bush non convince Russia e Cina

Sì degli Usa: firmato a Hanoi l’ingresso di Mosca al Wto

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

A chiusura del Vertice del Pacifico (Apec) ad Hanoi è stato «approvato» (o forse no) un testo che è un «documento», o forse non lo è. E che comunque è stato letto solo in lingua vietnamita. Campo libero, dunque, alle interpretazioni, compreso un comunicato dalla Casa Bianca che diffondeva per iscritto la traduzione di un testo che doveva rimanere orale. Incidenti che capitano nella diplomazia, soprattutto quando sono voluti. In questo caso confusione e ambiguità erano l’unica via d’uscita alla mancanza di un accordo soddisfacente sull’argomento che più stava a cuore a Bush: quello sulla Corea del Nord, il suo sviluppo di armi nucleari, la disapprovazione del mondo e le sanzioni che ne conseguono.
Il consenso che è mancato ad Hanoi è quello fra Stati Uniti e Russia e, in misura minore, fra Stati Uniti e Cina, oggetto dei due principali colloqui a «quattr’occhi» fra il presidente americano e le rispettive controparti, Vladimir Putin e Hu Jintao e centrati naturalmente sulla Corea del Nord e sull’Iran. Il presidente americano ha chiesto ai colleghi russo e cinese di esercitare pressioni su Pyongyang e Teheran affinché sia i nordcoreani sia gli iraniani rinuncino all’arma nucleare. Bush puntava in particolare a un «documento forte» contro i programmi del regime di Pyongyang, che collegasse direttamente la disapprovazione dei governi rappresentati ad Hanoi con le sanzioni dell’Onu.
I cinesi e soprattutto i russi preferivano un testo annacquato e, dal momento che l’uomo della Casa Bianca non è riuscito a convincerli, l’annacquamento è rimasto. Al punto che si è dovuto rinunciare a un pezzo di carta con delle firme in fondo, sostituito da una dichiarazione verbale di «mutuo consenso», a quanto pare prevista dal lessico diplomatico ma raramente usata. Un accordo «orale» che richiedeva però qualcosa di scritto da leggere in pubblico; e allora si è ripiegato sulla versione in vietnamita (dopo tutto, la lingua dei padroni di casa) senza traduzioni ufficiali, sostituite da accenni ufficiosi. Quello che ne emerge è un rinnovato «impegno alla pace e alla sicurezza nella penisola coreana e nell’Asia nord-orientale», la «forte preoccupazione per i lanci di missili del luglio scorso e per il test nucleare del 9 ottobre condotti dalla Corea del Nord, che costituiscono una minaccia alla pace».
I ventuno Paesi dell’area del Pacifico sottoscrivono le due ultime risoluzioni del Consiglio di sicurezza, il proprio appoggio ai negoziati a sei che dovrebbero riprendere in dicembre e si dicono «incoraggiati» dalla ripresa delle trattative. Quello che manca è stato l’oggetto, appunto, dei colloqui di Bush con i leader di Pechino e di Mosca. Per quanto riguarda la Cina il presidente Usa e Hu Jintao paiono essersi trovati su «posizioni molto simili» ma non tanto da poter essere messe per iscritto. E Putin non si è lasciato convincere e ha in pratica impedito che da Hanoi venisse fuori un documento in qualche misura più impegnativo di quello dell’Onu. Similmente non ce l’ha fatta a diventare carta la consultazione russo-americana sull’Iran, che è stata confidenziale.
Nelle dichiarazioni pubbliche Bush vi ha fatto un solo un breve cenno e Putin neanche quello.

Il tutto in marcato contrasto con l’unanimità raggiunta sulla firma russo-americana, a margine dell’Apec, per l’adesione di Mosca all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), cui i russi ambivano da anni e sul rilancio del «Doha Round» per la liberalizzazione degli scambi, assieme alla decisione di «esplorare l’idea» di un’area di libero scambio fra Asia e Pacifico, però come «obiettivo a lungo termine».

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