Massimo M. Veronese
nostro inviato a Washington
L a prima si chiamava Opha Mae Johnson, aveva trent'anni da un mese, i capelli arrotolati dai boccoli e appiattiti nella bustina militare e le guance pienotte delle ragazze dell'Indiana. Entrò come impiegata ad Arlington, nel quartiere generale dei marines, in Virginia, nell'agosto di 100 anni fa quando le donne non avevano nemmeno diritto di votare e si accomodò, dopo aver sciolto l'attenti, nell'ufficio del generale di brigata ed eroe di guerra Charles Mc Cawley. Era la prima delle 12.500 ragazze reclutate per la Grande Guerra, perché ormai gli uomini cominciavano a scarseggiare, si congedò con il grado di sergente. «Finché avremo queste ragazze - le battezzò il presidente Wilson - potremo continuare a combattere per la democrazia e per la libertà». Ordinò che da quel momento in poi nessuno ostacolasse più la marcia delle donne e il tempo, anche se a fatica, obbedì.
Oggi le donne soldato sono il 14% del milione e mezzo di militari delle forze armate americane, da tre anni possono combattere come un uomo, anche se meno di ottocento hanno i requisiti di battaglia per farlo. E da agosto c'è anche una donna, il tenente Marina Hierl, a comandare un plotone dei marines. Perché è anche su questa trincea machista per vocazione e necessità che si misura la parità. In tante sono partite per il fronte, insieme a commilitoni uomini clonati dall'addestramento e appiattiti dalla ruspa del barbiere militare, che a loro, per fortuna, è stata sempre risparmiata. Sono invece partite con le code di cavallo, le treccine, i capelli con la frangetta, timide permanenti che l'elmetto ha stropicciato subito. Perché la femmina rapata fa più campo di concentramento che Soldato Jane. Più di duecento da Irak e Afghanistan non sono tornate più.
Ma da un po' anche qui, al cospetto dei sergenti maggiori Hartman di Full metal jacket e dei colonnelli Nathan R. Jessep di Codice d'onore, il corpo dei marines, e non solo quello, anche la Marina, l'Aeronautica, l'Esercito, ha cominciato a cambiare pelle. E complici i social e nonostante il neo puritanesimo strisciante del MeToo a marciare oltre l'immagine punitiva dell'uniforme e i capelli raccolti negli chignon. La più famosa è Shannon Ihrke. È stata sergente della Us Navy Army per quattro anni, aveva 19 anni quando è entrata, 23 quando è uscita: «Ma non pensavo mai ai vestiti e al make-up. I miei capelli erano sempre legati e mi sentivo quasi un uomo. È stato bello riscoprirsi di nuovo donna». Si era arruolata per trovare quella stabilità economica che una laurea in marketing e due lavori part time non le garantivano. Poi un giorno accettò di posare per un fotografo e la sua vita cambiò di nuovo. Oggi è una modella a tempo pieno, front-woman di una delle principali emittenti di musica rock di Chicago e donna copertina di Maxim: bikini a stelle e strisce e posa da saluto militare. Per lei quella copertina è come una medaglia. Dice: «La Marina è piena di belle donne, persino io ne sono rimasta sorpresa. Spero che la mia esperienza possa incoraggiare tutte le donne toste che vogliono far carriera. L'esercito insegna l'importanza della disciplina e della tenacia nell'inseguire l'obiettivo».
Sono un'altra immagine dell'impero americano che ha la sfacciataggine della giovinezza. Hanno siti, pagine Facebook, album su Pinterest. La linea di fitness da donna, Curves N Combatboots, si è trasformato in un contenitore dove le soldatesse condividono immagini in uniforme e senza. Ci sono anche agenti di polizia e vigili del fuoco. Belle, sfrontate e al servizio del Paese. E con migliaia di follower disposti a perdonare l'abbigliamento fuori dalle righe: «Combattono le nostre guerre, spengono i nostri incendi e catturano i nostri cattivi». Lasciatele divertire.
Lì ci trovi un esercito di grandi bellezze. Raccontano le loro storie, si raccontano con le foto, si mostrano senza paura. Tempo fa esplose al Congresso lo scandalo degli scatti rubati alle soldatesse di stanza a Camp Lejeune. Sulla pagina Facebook «Marines United» 3mila soldati e chiunque passasse di lì poteva vedere centinaia di fotografie, alcune perfino troppo esplicite, scattate dal buco della serratura come fosse La soldatessa alle grandi manovre. L'inchiesta del Dipartimento della Difesa sospese tutti i paparazzi in divisa. Anche questa, a raffiche di selfie, è una risposta.
Negli album di Pinterest trovi Leilani Hartley, da 11 anni sergente dell'esercito: è stata sia in Iraq che in Afghanistan, mostra i muscoli forgiati dall'addestramento. È stata cresciuta a Parris Island dove vengono addestrate 17mila reclute l'anno: solo una su dieci non ce la fa. O Jessica Jazzi per cinque anni marinaio e ora riservista dell'aeronautica. Spara come Calamity Jane e anche per lei la palestra è casa. Ha fondato un'associazione no profit per aiutare i soldati feriti in guerra. Cassandra Jedlinski porta la divisa della Marina e volentieri la smette per i selfie. Pensa di trasferirsi in aeronautica. Racconta la sua esperienza come un rapporto di amore e odio: «Ma le persone che ho incontrato nel mio viaggio mi hanno plasmata». Così a occhio si direbbe plasmata bene.
Tara è una veterana dei marines, ha 25 anni, si sta laureando in Sicurezza internazionale e risoluzione dei conflitti. La guerra in fondo preferisce vincerla a parole. Scrive: «La vita è una piccola danza sexy, e adoro prendere il comando». Un incrocio insomma tra Barbie e Rambo. Così come Jenn Pantoya, di Chicago, marine da otto anni. Ha gli occhi verdi e la pelle tatuata di motti e parole d'ordine.
Dice di amare «il fitness e i sonnellini» come un'aspirante Miss Italia qualsiasi. O Charissa Littlejohn, medico militare e Meredith Northrup che a bordo della Uss John Paul Jones si occupa del lancio e della manutenzione del lanciamissili Mk41. Felici di essere belle. E tutto il resto è naja.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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