Politica

Una corporazione invincibile

I nostri dipendenti pubblici sono la corporazione più forte che ci sia. Ieri il governo ha deciso di sacrificare gli interessi dei contribuenti privati e delle imprese per elargire a 3,3 milioni di statali, quasi quattro miliardi di euro in aumenti contrattuali. Da far urlare dalla rabbia. Ecco solo qualche considerazione. Gli aumenti di stipendio dovrebbero nascere da una duplice ragione. La prima e più sana è quella di riconoscere una maggiore efficienza e produttività raggiunta dai lavoratori. Una seconda è quella di allineare i salari monetari all’aumento del costo della vita. Ebbene la prima funzione incentivante è del tutto inesistente all’interno dei rinnovi contrattuali pubblici: elargizioni a pioggia e uguali per tutti.
I rinnovi contrattuali, compreso questo, sono sempre conditi dalla richiesta di una maggiore produttività dell’apparato pubblico. All’ombra di questa balla colossale ci si pulisce la coscienza dalle regalie che si sono accumulate negli anni.
Inoltre il criterio collettivistico del dare poco, uguale per tutti, moltiplicato per tanti ha un effetto disincentivante per quei rari casi di efficienza superiore alla media che ovviamente esistono all’interno della nostra pubblica amministrazione.
Il governo Prodi è per la verità in buona compagnia: i rinnovi contrattuali fatti dal precedente esecutivo (con i ministri Baccini e Fini) non brillano certo per originalità: sono stati anche essi accondiscendenti al consenso nei confronti del vicino.
E arriviamo così al punto della lobby, della corporazione statale. Anche nelle imprese private esistono sacche di inefficienza, ma pur con i limitati strumenti della nostra rigida legislazione giuslavoristica essi vengono in qualche maniera arginati. Le sacche di inefficienza nel privato non sono più difese neanche dalle forze sindacali, che in qualche misura si plasmano e vengono influenzate virtuosamente dall’interlocutore.
La corporazione statale gode invece di una sorta di immunità dal controllo. La sua contiguità e osmosi con la politica la rafforza indipendentemente dalle coloriture dei governi in carica. La ricerca del consenso si sposa in questo caso con una fragilità clamorosa della coalizione di governo. Fornire ai sindacati un fianco per una protesta rivendicativa sarebbe infatti stato un colpo mortale per l’esecutivo, che per l’ennesima occasione avrebbe visto la sua compagine dilaniarsi.
Un’ultima considerazione residuale deve essere dedicata alle alternative. Il costo di un acceso conflitto con gli statali cosa avrebbe portato? Intanto un credito politico: al governo delle liberalizzazioni sarebbe stato più agevole giustificare la mano ferma nei confronti di parrucchieri e notai, tanto per citare due casi. Il risparmio dei 4 miliardi di euro, il tesoretto svanito ieri, sarebbe potuto più lecitamente ritornare nella mani di chi lo ha creato. E a quel punto ci si divida pure sulla destinazione: ai contribuenti attraverso gli sgravi della tassazione sui redditi o alle imprese con meno imposte sulla produzione.
C’è un Paese reale là fuori che è furibondo per le tasse che paga e che quando va in un ospedale, quando fa una causa, quando manda un figlio a scuola, non è così soddisfatto di come viene trattato.

Ci sono altri 57 milioni di italiani che oggi non brindano.
Nicola Porro

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