I ricchi a Milano non sono tutti uguali. Non è il denaro, è lodore. È lì la differenza. È la patina di profumo che qualcuno mette sui soldi. Li fa sentire diversi, santi, colti, equi e solidali. Ci sono soldi che ancora puzzano di petrolio, altri che arrivano dalla stessa famiglia, ma sanno di bon ton, di «linesotis», di chilometri zero e di braccialetti brasiliani intrecciati a mano. Ci sono soldi che sanno di Letizia, e puzzano, e altri che profumano di Milly.
Milano si veste da metropoli, ma quando la spogli riconosci certi vezzi provinciali. Puoi seguire con un dito le cicatrici delle sue contraddizioni. È sempre la vecchia storia della ricca borghesia che a un certo punto deve vergognarsi di se stessa. Qui si formano le due razze. Cè chi non si pente e se ne frega del pauperismo. E chi si maschera. Si nasconde. È sempre ricco, ma dice che i ricchi sono stronzi e prima o poi gliela faranno pagare. Ecco. Questi ricchi vestiti di stracci sono la vera aristocrazia di Milano. È la stana razza dei capitalisti anticapitalisti. Non hanno rinunciato alle loro vecchie abitudini, fanno le stesse cose degli altri ricchi, si siedono allo stesso pranzo della domenica, solo disprezzano quelli che non sono come loro. Ti guardano con disgusto se non ami le cose che, dicono loro, assolutamente bisogna amare. Questo vale per tutto: per i mobili, i vestiti, i film, i romanzi, i personaggi televisivi, le ricette della nonna. Sono arbitri di eleganza e bussole morali. Dicono questo è bello o questo è cattivo. Sono lélite borghese che si è presa il lusso di rinnegare la borghesia.
Il Corriere della Sera è il distillato di questa filosofia. La incarna. La racconta. La specchia. È il giornale di tutti che tifa solo per qualcuno. È bipartisan e cerchiobottista, ma insegue tutte le tentazioni radical. Sceglie Milly e butta Letizia, senza mai scomodare i Moratti. Bacia Pisapia, senza darlo troppo a vedere. Si limita solo a narrare come ogni giorno Milano, questa Milano che puzza ancora di petrolio rozzo, sia marcia nelle piccole cose, come gli stadi dove non si corre più, non cè più spazio per latletica, come lArena abbandonata. Non come San Siro, dove la pista non cè mai stata, ma che verrà illuminato dalla campagna elettorale di Milly, perché nessuno si scandalizza se la lady nerazzurra usa il Meazza per le sue ambizioni personali. Milly appunto non è Letizia, la sua pecunia non olet. E poi con lei, con il nome in rosso sulla stessa lista «Pisapia», cè anche Ada Gigli Marchetti, la moglie candidata di Pier Gaetano Marchetti, presidente Rcs. La scelta di campo è sotterranea, perché il Corsera resta un mausoleo, ma insistente, quotidiana, pervicace. È il Corriere che si deprime per questi tempi meschini e oscuri, depresso e rassegnato, che spera di riconoscere in unintellighentia vecchia e rancorosa una mappa aggiornata per il futuro. E, purtroppo, non si accorge che quella intellighentia ormai reazionaria si è arroccata sulle rovine del Novecento, dove recita vuote litanie per ingabbiare il tempo. È il Corriere che insegue le nostalgie di Celentano. È il Corriere che ha sempre voglia di un Prodi, o qualcuno che gli assomigli, su cui mettere una croce sopra: votate per lui. È il Corriere che continua a confondere Obama con Vendola.
È così che questa Milano, disegnata sempre più come la vuole il Corsera, banalmente con il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, assomiglia sempre di più al mondo narrato da Ayn Rand nella Rivolta di Atlante. È la rivolta dei produttori che si eclissano per ribellarsi ai luoghi comuni, melensi e ipocriti, dellanticapitalismo. È la filosofia di John Galt, quella che per Milly e le sue sorelle è come bestemmiare in chiesa, come mettere i piedi sul divano.
«Corriere», il giornale borghese col vizio di tifare la sinistra chic
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