Così le cliniche gonfiavano i rimborsi

È il nervo scoperto della sanità convenzionata in Lombardia. È il «trucco» con cui le cliniche private hanno gonfiato i rimborsi pubblici. Cartelle cliniche truccate. In termini tecnici, i Drg (Diagnosis related group), le schede di dismissione ospedaliera, modificate per drenare soldi dalle Asl. Le inchieste della procura, negli ultimi anni, hanno scoperchiato una prassi diffusa. Arrivando a toccare anche il «reuccio» - così è chiamato nell’ambiente medico - Giuseppe Rotelli, a capo di un impero di diciotto cliniche (17 in Lombardia, una in Emilia Romagna) che fanno parte della galassia San Donato, uno dei più importanti gruppi ospedalieri italiani nonché cassaforte di famiglia. Ieri, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria hanno notificato 68 avvisi di conclusione indagini (atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio) con l’accusa di falso in atto pubblico e truffa aggravata al sistema sanitario nazionale per i vertici amministrativi e medici delle cliniche Galeazzi, San Donato e Sant’Ambrogio. Stesso avviso notificato anche a Rotelli, che - seppur non indagato - è uno dei rappresentanti legali delle strutture, sotto inchiesta per violazione del decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Un’inchiesta nata un paio d’anni fa dall’acquisizione all’assessorato regionale alla Sanità delle schede di dismissione ospedaliera dei pazienti che contengono i codici di classificazione delle prestazioni ospedaliere eseguite negli istituti clinici convenzionati. Dalle verifiche è emerso un gran numero di operazioni classificate secondo il codice «864», ossia un tipo di intervento di asportazione di organi o tessuti. Ovvero un intervento da eseguire in sala operatoria con un’intera équipe medica e relativo ricovero del paziente, facendo lievitare i costi. Secondo i pubblici ministeri Sandro Raimondi e Maria Letizia Mannella, che hanno coordinato le indagini, parte di quelle cartelle cliniche (dal gennaio 2004 al dicembre 2007) sarebbe stata falsificata per ottenere un rimborso dal Sistema sanitario nazionale superiore rispetto a quello spettante. Gli indagati, si legge nell’avviso di chiusura indagini, avrebbero attestato «falsamente» che i pazienti «necessitavano di specifico ricovero per necessità diagnostiche, terapeutiche e assistenziali», mentre gli interventi in realtà «erano stati erogati in regime ambulatoriale». O, ancora, che sarebbe stata indicata «una degenza di durata superiore a quella prevista per la patologia o l’intervento riscontrati». Solo nel caso del policlinico San Donato, le irregolarità avrebbero riguardato un totale di mille e 564 cartelle cliniche, dal 2004 al 2006. Nel corso dell’inchiesta, inoltre, sono stati sottoposti a sequestro circa 6,5 milioni di euro, somme ritenute il profitto illecito delle strutture ospedaliere ottenuto grazie alle cartelle «gonfiate».
«Abbiamo registrato che l’indagine si è conclusa - commenta Gabriele Pelissero, direttore scientifico del San Donato e vicepresidente nazionale dell’Associazione italiana ospedalità privata - e questo non ci dispiace. Aspettiamo di conoscere la posizione della pubblica accusa, quando questa sarà depositata».

Ma la posizione delle aziende, ribadisce, «rimane la stessa, cioè ritengono di avere un comportamento ineccepibile e non hanno nessun problema a dimostrarlo». Sarà il giudice per le udienze preliminari, ora, a dover dedidere su un’eventuale rinvio a giudizio o su una possibile archiviazione.

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