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«Così il fratello di Elisa minacciò di ammazzarmi»

Sta riprendendo una brutta piega il caso Claps. Esattamente come all’indomani di quel 12 settembre 1993 di 17 anni fa, quando di Elisa si perse ogni traccia. All’epoca una sfilza di errori (che la famiglia Claps non esita a definire «depistaggi») allontanò la verità, tanto da non poterla più raggiungere. Oggi, purtroppo, la storia sembra ripetersi. Dal 17 marzo - giorno del ritrovamento «ufficiale» del cadavere di Elisa nel sottotetto della Santissima Trinità di Potenza - stiamo assistendo infatti a un repertorio imbarazzante di ingenuità che non risparmia nessuno: investigatori, religiosi, gerarchie ecclesiastiche e mezzi di informazione.
L’ultima dichiarazione choc l’ha fatta ieri il vescovo di Potenza, Agostino Superbo. Alla domanda: «Perché il viceparroco della Santissima Trinità dopo aver saputo, fin da gennaio, da due donne delle pulizie che nel sottotetto della chiesa giacevano i resti di un cadavere non avvertì nessuno?», monsignor Superbo ha risposto: «Forse aveva pensato che si trattasse di uno scherzo...».
Uno «scherzo»? Ma come, due donne trovano un corpo umano rannicchiato nel buio, avvertono il prete e quest’ultimo, invece di chiamare immediatamente il 113, pensa a uno «scherzo»? E continua a pensarlo per oltre due mesi, decidendo di parlare col vescovo (e non con la polizia) solamente all’indomani del rinvenimento dello scheletro mummificato di Elisa da parte di un operaio incaricato di riparare le infiltrazioni del tetto.
Idee confuse anche nella questura di Potenza, dove la strategia comunicativa del «dico e non dico...» e del «non smentisco e non confermo...» sta creando più di un equivoco. Segnali contraddittori pure dalla Procura di Salerno e dai periti tecnici di Bari. Un caso emblematico? La fuga di notizie sulla «violenza sessuale» subìta da Elisa: una circostanza che è stata data per «certa» anche se i risultati dell’autopsia si avranno solo tra una quindicina di giorni. Una corsa allo «scoop» piuttosto discutibile. Ma si sa che quello mediatico è un meccanismo ad altissimo rischio.
Un altro esempio viene dal quotidiano Il Riformista che - forte di una documentata inchiesta dedicate nell’estate scorsa proprio al caso Claps - ieri ha ripubblicato una vecchia email inviata al giornale da Danilo Restivo, al momento l’unico indagato per il delitto di Elisa. Titolo dell’email: «Suo fratello mi minacciò. E se lo denuncio, sarà arrestato». Chiariamo. «Suo fratello» sarebbe il fratello di Elisa, Gildo Claps, che avrebbe addirittura «minacciato di morte» Danilo, tendendogli un agguato davanti al suo appartamento in Inghilterra. Siamo alla follia: Restivo che cerca di accreditarsi come una «vittima» della «violenza» della famiglia Claps, indicata come mittente di «una busta contenente due proiettili» spedita a casa Restivo.
Ma la delirante ricostruzione di Restivo non si ferma qui: «(...) Qualora decida di muovere accuse contro il Signor Claps, lo stesso Claps si troverebbe ad essere arrestato con un mandato di cattura internazionale. Il motivo per cui non ho voluto parlare con il Claps è perché Claps poteva essere armato di pistola. Le minacce verbali di morte che Claps ha lanciato sono state registrate telefonicamente al 999 e archiviate con numero di incidente 02/281 (...)». Il testo della lettera è molto più lungo, ma ci fermiamo qui perché sarebbe avvilente dare ulteriore spazio a simili farneticazioni.
Fatti e non farneticazioni sono invece gli svariati tentativi di depistaggio messi in atto negli anni da Restivo, un atteggiamento così penalmente rilevante da essere stato cristallizzato dalla magistratura potentina in due sentenze di condanna per falsa testimonianza: 9 mesi in primo grado; 2 anni e 8 mesi in appello.

Ora, dopo il ritrovamento del cadavere di Elisa, dovrà aprirsi un nuovo processo: questa volta con un’accusa ben più grave, omicidio volontario.

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