Così «l’andaluso universale» ispirò Federico García Lorca

Il poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez (1881-1958), Premio Nobel della Letteratura 1956, è senza dubbio uno dei grandi protagonisti della lirica del Novecento. La sua opera, tesa tra intelligenza e passione, rappresenta il culmine di una ricerca solitaria votata al perseguimento di una sintesi perfetta tra bellezza e verità. Carlo Bo, autore del libro La poesia con Juan Ramón (1940), ha ricostruito con precisione le sue varie stagioni, dalla raccolta giovanile Jardines lejanos fino a Estación total e Animal de fondo, che sintetizzano l’eterna aspirazione del poeta alla parola suprema. Parlare dunque di Juan Ramón Jiménez è ricordare la storia della poesia del primo Novecento.
Ciò spiega come la scoperta di un documento della sua opera possa costituire un grande avvenimento letterario in Spagna. È quanto è accaduto con il ritrovamento di 43 liriche inedite che, insieme a numerose altre dimenticate in lontane riviste, formano il libro Arte menor che l’editore Linteo si appresta a pubblicare. Sono frutto della ricerca del professor José Antonio Esposito presso l’archivio dell’università di Porto Rico, e rappresentano testi di grande interesse che Juan Ramón voleva dare alle stampe nel 1909, nell’ambito di una trilogia comprendente Baladas de primavera e Las hojas verdes.
L’importanza del libro consiste anche nella presenza del motivo neopopolare, ripreso e sviluppato dai poeti del ’27 (Lorca, Alberti), che forse hanno potuto conoscere i testi.

Esempio: il noto verso di Federico, «Cordoba lejana y sola» («Cordova lontana e sola»), richiama una di queste liriche inedite che recita «Huelva lejana y rosa» («Huelva lontana e rosa»). L’analogia è evidente, come è evidente la grande influenza esercitata dall’Andaluz Universal - così è chiamato il poeta - sul Gruppo generazionale del ’27.

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