Politica

Così l’intelligence italiana è finita nel fumo di Londra

Scajola (Copaco): la revisione del sistema di spionaggio va fatta con molta cautela

Marianna Bartoccelli

da Roma

«Non c’è stata alcuna differenza di trattamento rispetto a quella degli altri Paesi da parte dei servizi di intelligence inglesi», assicura Massimo Brutti dei Ds, vicepresidente del Copaco, il Comitato parlamentare per il controllo dei Servizi, respingendo così ogni voce sulla scarsa considerazione che gli inglesi avrebbero avuto rispetto all’intelligence italiana. «Gli unici che avranno avuto una linea prioritaria sono stati ovviamente gli americani, tutti gli altri Paesi sono stati informati allo stesso modo», ripete, trovandosi così sulla stessa linea del presidente della commissione Difesa, il senatore Sergio De Gregorio, che si lancia in una difesa senza riserve del Sismi diretto da Nicolò Pollari, sostenendo che «da diversi mesi Pollari sottolineava che la Gran Bretagna sarebbe stata oggetto di una clamorosa azione terroristica da parte dell’integralismo islamico». Per De Gregorio i servizi inglesi devono ringraziare la lungimiranza dei colleghi italiani «cui non erano sfuggiti i minacciosi preavvisi di sventura che fonti riservate, nei Paesi del Medioriente avevano disegnato come l’inquietante prossimo scenario dell’offensiva terroristica». E conclude la sua difesa: «Non risponde a verità l’affermazione secondo la quale gli 007 inglesi avrebbero avvertito i colleghi italiani soltanto a cose fatte».
Le parole di De Gregorio suscitano una pesante reazione di Maurizio Ronconi dell’Udc: «Il presidente della commissione millanta di sapere questioni che per il ruolo che svolge non dovrebbe conoscere oppure ci troviamo di fronte ad un’inquietante fuga di notizie riservatissime che dimostrerebbe una totale e pericolosissima confusione tra chi dovrebbe garantire assoluta discrezione». E aggiunge: «Quello che è certo, è che sarebbe doveroso da parte del governo far saper se davvero i Servizi italiani siano stati tenuti all’oscuro da parte di quelli britannici a causa della scarsa affidabilità nel mantenimento della riservatezza da parte di alcuni ambienti. Le sconcertanti dichiarazioni del presidente della commissione Difesa del Senato - conclude Ronconi - farebbero propendere per questa ipotesi». Gli fa eco il componente del Copaco del suo stesso partito, Giampiero D’Alia, che chiede al governo «di non indugiare e dire con chiarezza al Paese se i nostri servizi segreti godono della piena e incondizionata fiducia dell’esecutivo o meno».
Difende il lavoro della nostra intelligence anche Fabrizio Cicchitto, vicecoordinatore di Fi, per il quale «i nostri Servizi seguivano da tempo la stessa traccia degli inglesi» e se il Sismi nella lotta al terrorismo ha avuto «momenti di difficoltà, come sostiene l’ex procuratore capo della dna, Pier Luigi Vigna, questo è dovuto all’assalto giudiziario di cui è stato oggetto». Fabrizio Cicchitto affronta anche il tema della riforma dei Servizi, sostenendo che l’Italia ha bisogno di «Servizi che possano svolgere attività di intelligence a 360 gradi per proteggere il nostro Paese nel quadro di una solidarietà internazionale con gli altri Servizi dei Paesi occidentali». Tema affrontato anche dal presidente del Copaco, Claudio Scajola di Fi, che frena comunque sulla necessità di fare «subito» una riforma. «Sono decisioni che vanno ponderate» - dichiara in una sua intervista al Messaggero, trovandosi d’accordo con il vicepresidente della Commissione, Massimo Brutti. «Sulla riforma dei Servizi bisogna ragionare e cercare ampia convergenza. La riforma è utile, fondamentale, ma non c’è una situazione d’emergenza che costringe alla riforma». Il senatore Brutti ha già presentato un suo disegno di riforma che non sembra allineato con la proposta fatta dal pubblico ministero che indaga sul Sismi, Armando Spataro, che ieri ha scritto sulla Stampa che «serve un servizio unico, con competenze ripartite sul piano organizzativo, ma unitariamente diretto». Diverso il disegno di legge presentato dai Ds, primo firmatario Brutti, che ipotizza due agenzie (una per la minaccia interna e l’altra esterna) coordinate centralmente da una struttura alle dirette dipendenze del governo.

«Bisogna andare cauti sulla struttura unica», ribadisce, replicando così al pm milanese Spataro.

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