«Così si è perso l’amore per le origini»

Credo di dover essere grato all'avv. Mallucci che, intervenendo sull'identità ligure, mi consente di replicare alle sue grossolane e fallaci affermazioni. Proprio a riprova della superficialità dell'intervento ho ritenuto più interessante basare la replica non su mie affermazioni, ma su quanto altri hanno scritto in relazione ai temi introdotti dal nostro interlocutore. Scrive Mallucci che la gente fuori di Genova era costretta a vivere come bestie. Se così fosse stato non si capirebbe quello che si legge nel sito Internet del Comune di Triora: «il sindaco di Triora (...)Luca Capponi si recò a Genova, insieme ad una delegazione di altri sindaci della Riviera di Ponente, per esprimere al governatore inglese Lord Bentinck le sue felicitazioni per la restaurazione della Repubblica Ligure» che avvenne, lo ricordo, il 26 aprile 1814. Mallucci sostiene che i Savoia fecero «le prime scuole per tutti, i primi ospedali». Federico Donaver nella sua Storia di Genova ci informa che «nel 1423 Bartolomeo Bosco (...) possedendo varie piccole case nella strada di Pammatone le volle dedicare alla cura degli infermi poveri ond'ebbe origine l'Ospedale» che divenne famosissimo in tutta Europa. Altro che Savoia! Circa poi le scuole, scrive Romano Bracalini nella sua L'Italia prima dell'Unità (1815-1860): «Nel “liberale” Piemonte (...) chi non aveva almeno 200.000 lire di patrimonio non era ammesso agli studi superiori: poche nozioni, parecchia storia di Casa Savoia». Edificante esempio di buon governo! Circa la censura che Mallucci pretende di ascrivere alla Repubblica di Genova, rilevo che, qualunque essa fosse, non era confrontabile con quella savoiarda. Scrive ancora Bracalini: «In Piemonte (...) la censura, invadente come la polizia, interveniva su tutto, proibiva tutto dai classici alle notizie di cronaca, lasciava passare solo le opere religiose e morali, e le iscrizioni latine». Al punto che, e cito ancora Bracalini, lo statista piemontese «Massimo D'Azeglio, terminato il suo Niccolò de' Lapi, non ebbe dubbi che solo a Milano avrebbe avuto il permesso di stamparlo». Mi chiedo se, nella sua servitoresca deferenza ai Savoia, Mallucci non abbia trasposto a Genova ciò che accadeva in terra savoiarda!
Tra i grandi liguri che parteciparono al Regno Sardo (e lo fecero con riluttanza e solo per difendere gli interessi della Liguria contro le sopraffazioni savoine), Mallucci cita Vincenzo Ricci, che fu protagonista di un episodio citato da Angela Pellicciari sulla Padania del 7 ottobre 2001 relativo al Sacco di Genova del 1849 durante il quale i bersaglieri di La Marmora si resero responsabili di stupri: «Vincenzo Ricci (...) si lamenta con La Marmora del «saccheggio dato ad un quartiere di Genova e degli atti di violenta libidine su figlie di onorate famiglie», e si sente rispondere dal generale che «i soldati erano bei giovani e in quelle violenze le donne avean pure provato un piacere». «Auguro, signor generale - è il commento di Ricci - fortuna e piacere uguale a sua moglie e alle sue figlie». Di fronte a questa vergogna credo che tutti i monarchici dovrebbero solo avere il pudore di tacere. Veniamo ora all'annessione all'impero francese (cui fu annesso anche il Piemonte) che, nel Mallucci pensiero, fu un «autoscioglimento» del Senato genovese. Ecco cosa scrive nel monumentale ed importantissimo libro Storia di Genova (Genova, 2003) Giovanni Assereto, ordinario di storia moderna nell'Università di Genova: «la repubblica francese (...) trattava il Genovesato unicamente come un pollo da spennare. Dopo l'unione della Liguria alla Francia i francesi continuavano a sfruttarla ancora, ma almeno nel quadro di una formale parità di diritti tra cittadini liguri e francesi». In altre parole l'annessione alla Francia fu allora il minore dei mali. Circa i plebisciti l'avv. Mallucci dimostra una incomprensibile ignoranza giuridica. L'annessione della Liguria fu atto d'imperio del Congresso di Vienna che avvenne con la contrarietà del popolo e del legittimo governo che partecipava sovrano al Congresso di Vienna. Scrive Arturo Codignola nel libro La giovinezza di Mazzini: «La parte più colta della città, aveva subito come un affronto l'aggregazione al Piemonte (...) ed era quindi ostilissima al nuovo regime». E nel Proclama emesso dal Governo della Serenissima Repubblica di Genova il 26 dicembre 1814 si legge «risoluti dall'una parte a non lederne i diritti imperscrittibili, dall'altra a non usar mezzi inutili e funesti». Ossia i liguri subirono, ma non accettarono la riunione al Piemonte. Che fu quindi a tutti gli effetti una occupazione militare e come tale, stabilisce il diritto internazionale, sempre illegittima se non sanzionata da plebiscito. Questo fatto è peraltro ribadito da Maurizio-G. Ruggiero che, su Civitas Christiana, scrive: «Per legittimare l'annessione militare sabauda degli antichi Stati italiani, che si voleva sottrarre con la forza al governo dei legittimi Prìncipi, amatissimi dalle rispettive popolazioni, il Gabinetto di Torino, massoni e la minoranza liberale nelle province occupate orchestrarono diversi plebisciti, ai quali per le modalità con cui avvennero le consultazioni ben s'addice la definizione di plebisciti-truffa». A sostegno della sua tesi Mallucci cita la cessione della Corsica del 1768 dove non fu celebrato alcun plebiscito. Ma quella fu appunto una cessione, ossia un atto in cui il possessore cede legittimamente una parte del proprio territorio ad altro soggetto.
Insomma la Corsica non c'entra un bel niente, caro Avvocato! Poi, circa l'antistoricità dei plebisciti, introdotta speciosamente da Mallucci, basta ricordare che tutta la carriera di Napoleone avvenne attraverso plebisciti e quindi non sarebbe stato «antistorico» chiamare la popolazione genovese ad un plebiscito. Ma i Savoia sapevano benissimo che i liguri avrebbero votato NO! Concludo commentando l'assenza, «tra i nostalgici della Repubblica di Genova», di quelle persone che Mallucci chiama «appartenenti a famiglie liguri». La spiegazione ce la fornisce uno spagnolo, Vicente Blasco Ibáñez, autore nel 1908 del famoso Sangue e arena, che, parlando delle dimore dei patrizi genovesi, scrive: «Oggi queste abitazioni patrizie sono abbandonate. I discendenti di quei potenti repubblicani sono oggi cortigiani della Casa Savoia, vivono a Roma presso il re, come ministri o alti funzionari, e lasciano a qualche vecchio servitore della famiglia l'incarico di mostrare agli stranieri i vasti saloni con le dorature oscurate dal tempo».

Ecco, caro Mallucci, perché non vi sono quei nomi invocati: perché quei potenti repubblicani, divenuti servi di re, hanno perso dignità e con essa l'amore per la propria patria ligure.
*Segretario del Mil
Movimento Indipendentista Ligure

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