RomaNon esce a testa bassa da Palazzo Chigi. Si difende, attacca, accusa. Nicola Cosentino si è dimesso dalla carica di sottosegretario allEconomia. Ma il caso politico non è chiuso. Lo tiene aperto lui stesso: puntando lindice, nel momento in cui conferma il suo addio al governo, contro Fini, Bocchino e unoscura trama del presidente della Camera per destabilizzare il partito e assumerne «il potere» proprio tramite il suo brigadiere. «Manovre interne» messe in atto «contro il cambiamento». Sono stati loro a farlo fuori, lui, Cosentino, è «sereno» e lascia «per concentrarsi sul Pdl in Campania». Gli occhi tradiscono tensione e stanchezza, le parole, invece, sono bellicose.
Le dimissioni, decise «di concerto con il premier» evitano il voto dellaula della Camera, che mercoledì avrebbe dovuto decidere sulla mozione di sfiducia presentata nei confronti dell(ex) sottosegretario campano dai partiti di opposizione dopo il suo coinvolgimento in qualità di indagato nellinchiesta sulla presunta «nuova P2». È sventato uno strappo plateale dei finiani. Non ci sarà quel voto e non ci sarà quel dramma, ma questa storia è tuttaltro che finita. Nella mattinata di ieri infatti Fini aveva deciso di mettere a calendario la mozione di sfiducia il 21 luglio, dunque in tempi rapidi, assecondando le richieste dellopposizione e contro la volontà di Pdl e Lega. Sul presidente della Camera era partito un attacco forse mai così esplicito da parte dei più autorevoli esponenti della maggioranza, ma anche da parte del Carroccio. Le dimissioni volontarie di Cosentino annullano quellappuntamento pericoloso, ma le critiche a Fini rimangono, come le parole di Cosentino, rilasciate alle telecamere e scritte in una lunga lettera al governo. «Nella storia della Repubblica il mio è un caso isolato. Per quattro volte è stata presentata una mozione per gli stessi fatti. È assurdo». In una nota Berlusconi conferma di aver «condiviso» la decisione e si dice «certo della «totale estraneità» del coordinatore campano «alle vicende che gli sono contestate».
Non aveva scelta Cosentino. Confidandosi con alcuni colleghi, diceva di sentirsi il capro espiatorio dello scontro con i finiani. Cautamente anche la Lega aveva mostrato malumori: dovrebbe dimettersi? «Può essere, chiedetelo a lui...», diceva ieri Umberto Bossi, salvo smentire più tardi. Nei suoi colloqui a Palazzo Chigi con Berlusconi, Cicchitto, La Russa e Gasparri, il cinquantunenne politico di Casal di Principe ha rivendicato il suo lavoro, la sua dedizione al partito. In qualità di coordinatore in Campania, ha portato numerosi comuni nella mappa del Pdl, forte anche della caduta libera di Antonio Bassolino.
Vero è anche che da oltre dieci anni il nome di Cosentino ricorre nelle inchieste napoletane sul clan dei casalesi. Laccusa più grave era arrivata lo scorso autunno: richiesta darresto per concorso esterno in associazione mafiosa. La Camera aveva detto «no» alle manette, ma proprio questa vicenda aveva creato uno dei primi duri scontri con i finiani. Cosentino aveva dovuto ritirarsi dalla corsa alla presidenza della Regione.
Al suo posto Stefano Caldoro, il governatore che secondo i magistrati romani che indagano sulla P3 sarebbe stato vittima di un falso e velenoso dossier per screditarne limmagine. Dossier in cui avrebbe avuto una partecipazione Cosentino, indagato per associazione a delinquere «segreta»: «Non vi è stata da parte mia alcuna attività di dossieraggio - si è difeso lui -. E sono stato proprio io ad appoggiare con il massimo dellimpegno la candidatura di Stefano Caldoro garantendogli un risultato straordinario». Quindi laffondo contro Fini: «Il presidente della Camera» ha messo a calendario la mozione «basandosi soltanto su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa». La lettera continua spiegando che latteggiamento di Fini va letto attraverso «le dinamiche politiche in Campania», regione dove Bocchino, «senza successo, tenta di incidere sul territorio non già per interessi del partito bensì per mere ragioni di potere». Secondo Cosentino, «è risibile che lonorevole Fini voglia far passare le sue decisioni come se derivassero da una sorta di tensione morale verso la legalità». È invece soltanto «un tentativo di ottenere il potere nel partito tramite Bocchino». La Campania come primo terreno di battaglia. La regione dei veleni.
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