
C’è una sola foto, granosa, malferma, figlia di un altro tempo. Rullino ad alta quota, roba per mani che non tremano. Si vede l’ombra di un uomo, da solo, in piedi sulla vetta del mondo. Poco dopo, il vuoto. E poi lui che vola. Sì, letteralmente: Jean-Marc Boivin si getta giù dall’Everest, in parapendio, con l’aria che sibila attorno e il cuore che batte al ritmo di una sequela di tamburi.
Non era un pazzo, Boivin. O meglio: non soltanto. Era uno di quelli per cui la normalità diventa una prigione: meglio infragere la zona di comfort, correre tutti i rischi che il sangue pompato nelle vene pretende, anche quando possono sforare nella tracotanza umana, deragliare nella possibilità di morire. Un alchimista della verticalità Jean Marc. Un poeta delle imprese estreme, uno di quelli che vanno dove nessuno osa pensare, figurarsi camminare. Boivin, classe ’51, francese di Digione, ha riscritto a suo modo la grammatica delle imprese estreme sulle creste montuose più impervie. Scalatore, sciatore estremo, speleologo, base jumper, paracadutista, e sopra ogni cosa, visionario.
Il 26 settembre 1988, a quota 8.848 metri, mentre il resto del mondo sogna l’Everest con lo sguardo, lui sta proprio in cima. Lassù, in vetta, non ci è certo andato per piantare una bandierina. Scalare la più iconica delle montagne, per Boivin, non è sufficiente. Lui intende volare giù. Sulle spalle - durante una scalata di per sé maledettamente impegnativa - ha portato in fardello ingombrante. Un parapendio: 6 chili di tela e fili, piegati nello zaino, come un segreto. Il suo disegno è lucido, e segue a mesi interi di preparazione. Jean Marc si è esercitato ovunque, nel mondo, ma gettarsi dal monte Everest è assolutamente un'altra cosa.
Lui comunque non si lascia dissuadere da chi gli dice che l'impresa rischia di essere fatale. Basta una corrente più forte del previsto o un movimento che non viene come l'hai programmato, per andare a frantumarsi. Boivin fa spallucce. Parte dalla cima e si lascia cadere, planando per oltre 3.000 metri fino al Campo II, in meno di 12 minuti. Il volo più alto e folle mai tentato da un essere umano. Bassa visibilità e manovre chirurgiche per cavarsela. Jean Marc sopravvive. Raggiunge intatto il terreno.

C'era molto di preparato, ma nulla di garantito. L’aria rarefatta, i venti imprevedibili, la minima possibilità d’errore. Bastava un nodo sbagliato, una folata sbilenca, e la storia finiva in tragedia. Invece fu epica. "Sognavo di scendere da ogni montagna volando", scrive più tardi. L’Everest era solo l’apice – in tutti i sensi – di un percorso cominciato da ragazzo, quando si arrampicava sulle pareti calcaree della Borgogna immaginando mondi lontani.
Perché Boivin non si limitava a salire. Doveva stupire. Prima ancora che gli "enchaînements" diventassero moda tra gli alpinisti francesi, lui concatenava pareti in serie con sci, parapendio e deltaplano. Nel 1986 completò in un solo giorno le pareti nord di Aiguille Verte, Droites, Courtes e Grandes Jorasses: 17 ore di alpinismo, voli e follia. Nessuno ci aveva mai provato. Nessuno, tranne lui.
E poi ancora: la discesa in deltaplano dal K2 nel ’79, la cima del Gasherbrum II nel ’81, e i voli pionieristici dalle Alpi, dove ogni cima era un trampolino. Aveva un dono: leggere la montagna non come un ostacolo, ma come un invito. Dove gli altri vedevano una parete, lui scorgeva un decollo. Era anche un amante della bellezza. Scriveva, filmava, documentava ogni cosa. Non si trattava di banale narcisismo. Era, piuttosto, sete di lasciare traccia, di ispirare. E ci è riuscito. Ancora oggi, trentacinque anni dopo il volo dall’Everest, nessuno ha dimenticato quel pazzo francese che volò dove nessuno aveva mai osato.
Morì due anni dopo, nel 1990, tentando un base jumping dalla cima del Salto Ángel, in Venezuela. Il paracadute non si aprì bene. L’ultimo volo fu anche l’ultimo respiro.
Ma forse, per uno come lui, non c’era altra uscita. Gli uomini normali scendono a valle. Quelli speciali vanno oltre. "Io voglio vivere, vivere da morire", disse. Boivin non cercava gloria, ma libertà. E l’ha trovata nel modo più puro che ci sia: volando.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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