Il crac Parmalat si poteva evitare Due anni prima

La Finanza nel 2002 scoprì uno strano buco da sei milioni di euro. Ma la Procura di Parma indagò solo per evasione fiscale. Una mossa costata ai risparmiatori 200 milioni di euro. Scatole cinesi per far sparire i soldi

Il crac Parmalat 
si poteva evitare 
Due anni prima

da Milano

All’inizio del 2002, la Procura di Parma alzò il coperchio sul cratere Parmalat, ma inspiegabilmente lo richiuse. La deriva del gruppo Tanzi andò avanti, apparentemente inarrestabile, per quasi due anni. Fino a Natale 2003. Due anni in cui migliaia e migliaia di risparmiatori ignari comprarono dalle banche milioni di bond targati Collecchio senza sapere a che cosa andavano incontro. Quei poveri bond-people avrebbero potuto essere salvati, se solo la verifica iniziata dalle Fiamme gialle nei primi mesi del 2002 fosse andata fino in fondo. Invece, i militari si fermarono sul più bello, dopo aver spiegato al Pm Silvia Cavallari, lo stesso magistrato poi protagonista del ramo emiliano dell’indagine, la scoperta di un’operazione più che sospetta, un intervento che fotografava alla perfezione il meccanismo di distrazione messo in atto dal team di Collecchio: un credito da Parmalat a Parmatour di 11,8 miliardi di lire poi svanito nelle pieghe dei bilanci. La Procura aveva trovato con quel credito il bandolo della matassa. Ma lasciò perdere, dedicandosi solo alla contestazione dell’evasione fiscale.
La verifica viene effettuata fra il gennaio e il marzo 2002 presso la International Travel Consultant & Partnership -ITC & P spa - in seguito divenuta Hit International Spa e poi Parmatour. Attenzione: Parmatour appartiene sì alla famiglia Tanzi, ma non al gruppo Parmalat, quotato in Borsa e presente nel Mib 30 che raccoglie le 30 società a maggior capitalizzazione. Il finanziamento a terzi, da Parmalat a Parmatour, è dunque vietato. Invece, nel corso del controllo i militari trovano un’anomalia rilevantissima: Parmalat ha prestato a Parmatour 11,8 miliardi di lire nel 1997.
Dell’operazione però non c’è traccia né nei libri sociali né nei bilanci delle società. In verità nelle carte Parmatour la Gdf trova un’annotazione sconcertante, a penna: rinuncia al credito. In sostanza i «cervelli» di Parma hanno pensato bene di camuffare l’emorragia continua di soldi dalla capogruppo con la più banale delle bugie: Parmalat ha deciso di non chiedere indietro il prestito, anzi i prestiti. Non solo il passaggio degli 11,8 miliardi, ma anche altre rocambolesche operazioni infragruppo. I bilanci sono truccati, di più, marci e lo si vede ad occhio nudo.
Il 6 maggio, la Guardia di finanza, su delega del Pm Cavallari, va a perquisire Parmalat e curiosamente sequestra non i libri contabili relativi al 97, peraltro facilmente consultabili, ma «copie fotostatiche» dei documenti. Di quel prestito non c’è traccia. Viene allora interrogato Claudio Anzalone, legale rappresentante della società, che nega tutto. Possibile? I conti non quadrano, ma nella scheda informativa, inviata in Procura, i finanzieri glissano su tutto: «Claudio Anzalone ha in atti dichiarato l’inesistenza della rinuncia in questione, nonchè del credito stesso. Allo stato attuale delle indagini ed attraverso la documentazione acquisita, non è possibile verificare se la rinuncia del credito contabilizzata dalla Itc & P, sia mai esistita o sia eventualmente relativa ad un altro soggetto economico».
In poche parole, nessuno compie la più elementare delle verifiche: stabilire se quei miliardi siano effettivamente usciti dalle casse di Parmalat. Non succede nulla di nulla. Nemmeno in Procura: il Pm non informa, a quanto risulta, né la Consob né la Banca d’Italia. Nei mesi in cui le banche piazzano stock di bond nelle tasche incolpevoli di migliaia di cittadini, la Procura di Parma si limita ad accendere i riflettori su una presunta evasione fiscale. Fra una relazione e l’altra, la Gdf annota ancora una volta che il credito è sparito. Come un fantasma: «Una rinuncia di tale entità non è stata oggetto di specifica trattazione né in sede di delibere assembleari, né in sede di stesura della nota integrativa al bilancio d’esercizio e comunque la parte non ha esibito alcun documento che riporti con precisione l’ammontare del credito vantato e di quello rinunciato». E allora? I militari scrivono che le operazioni emerse «cozzano contro i principi di una corretta e trasparente gestione della contabilità». Nessuno a Palazzo di giustizia batte ciglio.
A Natale 2003 finalmente lo scandalo esplode: nel cratere sono spariti 14,4 miliardi di euro, il più grave disastro della storia finanziaria italiana. Per migliaia di risparmiatori è troppo tardi. Il 28 dicembre Silvia Cavallari e la collega Antonella Ioffredi corrono a San Vittore.

Qui Calisto Tanzi ammette: «È vero che la Parmalat ha concesso finanziamenti alle società di viaggio». Qualche finanziere inserisce nei faldoni quel vecchio carteggio, ormai dimenticato. Altrimenti destinato ad essere sepolto in qualche archivio, insieme alla vecchia inchiesta.

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