È un maestro della graphic novel, quel pastiche spurio che mescola il fumetto con la narrativa, ultimo genere letterario a esprimersi con le immagini e dove queste hanno lo stesso peso e importanza della scrittura, che ha tra i suoi riferimenti il Poema a fumetti di Dino Buzzati e le storie di Hugo Pratt, praticato sia in Italia da mostri sacri quali Lorenzo Mattotti e giovani come Manuele Fior e Davide Reviati, sia allestero (i grandi nomi della graphic novel sono Shaun Tan e Taniguchi). Dopo Maus, il capolavoro di Art Spiegelman in cui una famiglia di topi raccontava lolocausto, è spuntato finalmente il suo erede grazie a Craig Thompson, 36enne di Portland, che con due soli libri è diventato un caso letterario superando lambito dei cultori della materia. Nel 2004 uscì con Blankets, romanzo di formazione di 600 pagine basato sulla propria autobiografia di ragazzo inquieto nella provincia americana, descrizione impietosa del difficile rapporto con la famiglia, le amicizie, gli studi, la scoperta della sessualità in chiave ironica ed esistenziale. Dopo sette anni di ostinato lavoro ora esce Habibi (Rizzoli Lizard, pagg. 672, ill., euro 35). Anche qui il numero di tavole è monumentale, per inscenare la storia di due giovani ex-schiavi arabi, Dodola e Zam, che vivono in un luogo non precisato e in un tempo sospeso tra il passato suggestivo e il futuro incerto e violento. È già stata definita una «storia delle storie» degna delle Mille e una notte.
Thompson si è superato nel virtuosismo grafico, utilizzando un bianco e nero ricco di particolari e dettagli, una sinfonia visiva che tocca le arti decorative in riferimenti che vanno dallo Jugenstil alla psichedelia, dallorientalismo alliconoclastia musulmana rischiando citazioni del Corano.
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