«Il Cremlino tratta la Georgia come se ci fosse ancora l’Urss»

La questione caucasica sarà esaminata al G8 e il vice premier di Tbilisi, Giorgi Baramidze, critica la politica di Putin

Raffaela Scaglietta

da Roma

Persistono le tensioni politiche e geostrategiche tra la Russia e la Georgia, porta d’Occidente del Caucaso e ponte sensibile per il passaggio energetico delle risorse naturali e dell’oro nero che dal cuore dell’Asia sfociano a Ovest. Al prossimo G8, che si terrà da sabato a San Pietroburgo, la Georgia sarà uno dei temi caldi di cui Putin dovrà tener conto. I rapporti con l’ex Repubblica sovietica sono delicati e riguardano, considerando anche l’intera zona caucasica, l’energia, la sicurezza e il separatismo. Il governo di Tbilisi punta oggi a un’economia ultraliberale e ambisce a diventare un porto franco delle riserve energetiche ormai contese da Est (Cina e India) e Ovest (Ue e Stati Uniti). Il vice primo ministro Giorgi Baramidze è fiero di essere un georgiano ed è in visita in Italia per incontrare il ministro della Difesa Arturo Parisi e il ministro per il Commercio e le politiche comunitarie, Emma Bonino. Baramidze, che cerca appoggi per accelerare la marcia di avvicinamento all’Unione Europea e alla Nato, ci ha rilasciato questa intervista.
Quando crede sia possibile l’integrazione della Georgia alla Nato e in che modo il suo Paese può essere d’aiuto alla stabilizzazione della regione?
«A giugno abbiamo presentato una serie di riforme di democratizzazione per incrementare la sicurezza nella nostra regione, trovare una soluzione nelle zone di guerra, rafforzare le nostre forze militari affinché sia possibile partecipare alle missioni internazionali e confermare la nostra volontà in quanto Paese che accoglie forze internazionali o americane in caso di necessità. Ad esempio, penso se dovesse succedere qualcosa in Iran, che noi saremo pronti a ospitare aerei nelle nostre basi. Del resto siamo già presenti in Irak, contribuiamo a difendere con i nostri militari la zona verde di Bagdad. Abbiamo inoltre soldati in missione in Kosovo e stiamo pensando di inviare truppe in Afghanistan. Oltre il 5% del nostro contingente è già attivo per le missioni internazionali. Il nostro esercito è molto ben addestrato, sia dagli inglesi che dagli americani. Speriamo di entrare nella Nato nel 2008.»
Come giustifica la continua instabilità in Abkhasia, lacerata dalle rivalità etniche tra abkhazi, russi e georgiani. Una zona di guerra, in fase di stallo, nella quale i partigiani abkhazi massacrarono i residenti georgiani e li costrinsero a fuggire?
«La situazione in Abkhasia è molto delicata, ora ci sono 1.500 peace-keeper russi che controllano la zona e ciò a noi non piace. Vorremmo avere delle forze neutrali perché la Russia usa questa zona per esercitare il controllo su di noi e renderci più vulnerabili. La stessa cosa è successa lo scorso inverno, quando la Russia bloccò per nove giorni i rifornimenti energetici, tagliò l’elettricità e noi sospettiamo abbia sabotato anche due gasdotti che passavano sul nostro territorio. Non è stata fatta nessun indagine, abbiamo chiesto sostegno all’Iran e quando Mosca lo ha saputo ci ha subito riaperto i rubinetti».
Una politica ambigua dunque da parte di Mosca, forse perché la Georgia cerca di essere la porta occidentale del Caucaso e può arrivare oltre l’Iran?
«Noi non cerchiamo assolutamente la guerra, siamo un’economia in pieno sviluppo, e per noi l’alleanza con l’Occidente e con l’Italia è molto importante. Ma la Russia ci considera ancora come il suo cortile, nutre vecchi sentimenti di stile sovietico nei nostri confronti. Quest’anno il tasso di crescita georgiano è salito del 9,3%, la Banca Mondiale ci ha messi tra i Paesi in maggior sviluppo nel mondo, abbiamo abolito quasi del tutto le tasse del regime socialista, i nostri investimenti esteri diretti volano alle stelle, abbiamo incrementato dell’83 per cento le nostre esportazioni e siamo riusciti a ridurre dell’80% il mercato nero. Siamo un’economia liberale. La Georgia à uno Stato strategico, una porta sul Mar Nero, un passaggio importante delle risorse naturali di gas dall’Asia centrale all’Europa ».
Quanto preme la Cina nei vostri confronti?
«La Cina è il primo avversario dell’Europa sul mercato dell’Asia centrale sia per il gas che per il petrolio.

Adesso è il momento giusto per investire e costruire gasdotti e per capire in che direzione andranno queste grandi risorse, se verso Est o verso l’Ovest. La Georgia può avere un gran ruolo come mediatrice nelle trattative. Due gasdotti sono già pronti e vi partecipano la BP (British Petroleum), la Total e lo Stato norvegese».

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