da Milano
Mille miliardi di dollari? Una stima «assolutamente ingannevole». Nel balletto di cifre sui danni da subprime, lOcse entra a gamba tesa sui colleghi del Fondo monetario, criticandone le previsioni ben poco ottimistiche rese note alcuni giorni fa.
Gli esperti dellorganizzazione parigina hanno completato ieri la due giorni di riunioni del Financial market committee, durante i quali hanno sì promosso le recenti raccomandazioni del G7 sulla gestione della crisi, ma hanno al tempo stesso suggerito una rimodulazione dellattuale struttura normativa, ancora troppo legata a «un mondo semplice ante-globalizzazione». Occorre invece, a giudizio dellOcse, «un framework collaborativo che prenda in conto le nuove realtà e rafforzi la stabilità, pur preservando efficienza e innovazione».
Al tempo stesso, rileva lOcse, è ancora difficile quantificare con esattezza le perdite generate dal virus dei mutui ad alto rischio di insolvenza e dalla successiva crisi finanziaria. Certo non saranno i 1.000 miliardi indicati dal Fmi, ma una cifra compresa tra i 350 e i 450 miliardi, comunque superiore ai 300 miliardi previsti finora. Il ritocco verso lalto indica quanto le zone di criticità si siano allargate. LOcse mette infatti in conto almeno altri 12-18 mesi per uscire dal ciclone subprime. Un parere condiviso peraltro dal presidente dellEurogruppo, Jean-Claude Juncker, secondo il quale la crisi finanziaria si farà sentire per tutto il 2008 e condizionerà in parte anche il prossimo anno.
Di sicuro, sono molti gli americani che sentono sulla pelle gli effetti di una crisi a lungo sottovalutata sia dallamministrazione Bush, sia dalla Federal Reserve. In marzo, i pignoramenti di case sono cresciuti del 57% rispetto a un anno prima, mentre le riappropriazioni di immobili da parte delle banche sono schizzate del 129%. Le famiglie americane avvertono con crescente preoccupazione i morsi della crisi, dovendo fare i conti con un mercato del lavoro in deterioramento e con i ripetuti rincari che colpiscono i generi alimentari e i carburanti.
Difficile prevedere un miglioramento dello scenario energetico, con il petrolio salito ieri a New York al nuovo record di 113,99 dollari il barile, anche a causa della ormai cronica debolezza del dollaro. Il biglietto Usa è però riuscito ieri a spingere leuro sotto quota 1,58 grazie allindice che monitora landamento del comparto manifatturiero nellarea di New York (dai meno 22,2 punti di febbraio ai 0,6 a marzo).
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