La Croazia cede sulle case: «Italiani potete comprarle»

Il sì di Zagabria legato alla richiesta di entrare nella Ue

È caduto un altro Muro, invisibile ma insuperabile: quello che era stato eretto dalla Jugoslavia comunista e che la Croazia sovrana e «democratica», nata sulle ceneri del crollo di quanto restava della Cortina di ferro, aveva consolidato: il divieto di vendere immobili ai cittadini italiani. La svolta è arrivata ieri con un breve comunicato del ministero degli Esteri di Zagabria. Il documento annuncia che domani una nota diplomatica informerà il nostro governo «del raggiungimento di uno stato di piena e incondizionata reciprocità per quanto riguarda la possibilità dei cittadini dei due Paesi di entrare in possesso di beni immobili».
Era ora. L’anacronistico no croato cozzava contro la storia, l’economia, i princìpi dell’Unione Europea, alle cui porte Zagabria bussa da anni con insistenza. Il sì dell’ex Repubblica jugoslava viene raccolto da Prodi e compagni, ma è merito delle trattative condotte dal governo Berlusconi se, finalmente, anche i nostri connazionali potranno comperare case in terre sulle quali, prima del tragico epilogo della II guerra mondiale, sventola il tricolore e, prima ancora, il vessillo con il Leone di San Marco.
Quello di Zagabria era un atteggiamento inaccettabile, sia perché non sussiste più alcun timore che gli esuli ancora in vita, o i loro figli, abbiano aspirazioni irredentistiche da realizzare col mattone, sia perché i croati ormai da lungo tempo vendono case - poderi, ville eccetera - a tedeschi e austriaci, che hanno trasformato la costa istriana e la Dalmazia in una mini Crucchilandia (a proposito: crucco in origine non significava germanico, ma croato. Nel Lombardo-Veneto i soldati di Cecco Beppe, per lo più croati, venivano chiamati «crucchi» per via del fatto che mangiassero grandi quantità di pane che, nella loro lingua, si dice kruh).
Roma era stata chiara. Se Zagabria vuole sedersi alla ricca tavola di Bruxelles deve rinunciare al Muro anti-italiano, così come aveva fatto la Slovenia, anche se ponendoci qualche bastoncino tra le ruote. A dare manforte alla nostra legittima presa di posizione ha contribuito l’attuale commissario per l’allargamento della Ue, il finlandese Olli Rehn, che aveva esposto con chiarezza quali fossero le semplici condizioni per accedere alla Comunità: accettare le regole della casa. E il premier Ivo Sanader ha compreso. Un nuovo no, un ennesimo tira e molla, non gli avrebbe consentito di divenire membro del Club europeo entro la fine del 2008 e partecipare, come desidera e ha prospettato ai suoi elettori, alle elezioni europee del 2009.
Avevamo compiuto un gesto distensivo in aprile, quando il nostro governo inviò una circolare a tutti i notai, informandoli che il mercato degli immobili era aperto ai cittadini croati dalla Vetta d’Italia a Capo Passero. Attendevamo una mossa analoga da Zagabria. Silenzio. Poi, ieri, l’annuncio del ministero degli Esteri zagrebino, il quale precisa che resta in vigore il divieto di acquisto di proprietà dello Stato e di beni in parchi nazionali e in aree protette. Logico. In proposito ricordiamo però che Stati ex comunisti dell’Europa orientale hanno restituito ai legittimi proprietari tedeschi, o ai loro eredi, beni che i regimi comunisti andati al potere avevano nazionalizzato. Ciò grazie all’opera di persuasione di Berlino.


Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli istriani, ha commentato positivamente la decisione del governo Sanader, ma ha fatto notare che rimane da risolvere, appunto, la questione delle proprietà confiscate. Roma saprà essere all’altezza di Berlino?

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