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Crolla la bandiera dell’orgoglio orobico

Fino a ieri per i bergamaschi Doni era un semidio. Ora hanno l’incubo che trascini nel baratro l’Atalanta

Crolla la bandiera  dell’orgoglio orobico

All'inizio, quando l'incubo è cominciato, tutto era più semplice. Colpa di quei gran cornuti dei giornalisti. In subordine, colpa dei poteri forti di questo calcio mafioso, cui l'Atalanta dà sempre troppo fastidio (anche se nessuno ha mai chiarito in che modo, perché). Vittimismo spinto. L'onore di Bergamo, illibato per definizione, sceglieva ancora una volta di reagire come il suo campione dopo il gol, a testa alta, davanti a tutti. E Doni, che soltanto l'anno prima il sindaco aveva ricevuto in municipio per offrirgli la più alta onorificenza, al livello dei Donizetti e dei Papa Giovanni, era se possibile ancora più adorato. Semidio uno e trino: goleador, capitano, bandiera. Giù le mani dal capitano e giù le mani dall'Atalanta. La fiera terra orobica trasformava lo scandalo in un nuovo motivo di riscossa, come poi lo splendido campionato in corso avrebbe dimostrato.

Bei tempi, soltanto sei mesi fa. Non ci sono prove, Doni è finito dentro per dicerie telefoniche, come si fa a rovinare un campione così per così poco. Prima solo santo, poi santo e martire. Persino la posizione più temperata di un sano garantismo - vediamo come va a finire il processo, prima di darlo per corrotto -, persino questo atteggiamento di doverosa prudenza passava per disfattismo. Tutti a giurare sull'ipotesi della persecuzione e delle fantasie campate per aria: in prima fila, l'Atalanta stessa - parte lesa, in teoria - e il suo presidente Percassi. E anche quando sono arrivati i tre anni e sei mesi di squalifica per lui, ma soprattutto i sei punti di penalità per la società, nemmeno un cedimento, nemmeno un dubbio: Doni non si discute, Doni è il nostro capitano, Doni può continuare ad allenarsi con la squadra. Presto la verità verrà a galla e molta gente, in primo luogo quei gran cornuti dei giornalisti, dovrà chiedere scusa…

Dice più o meno un antico proverbio bergamasco: dopo qualche fetta devi capire che è polenta. Adesso, mentre il santo, eroe e martire aspetta Natale in carcere, qualcuno comincia a temere che sia davvero polenta. Dal sito de L'Eco di Bergamo, quotidiano vagamente innocentista fin dal primo giorno: «Come tifoso atalantino da più di 25 anni il mio pensiero va solo all'Atalanta, penalizzata dal calcioscommesse. Penso che una persona debba assumersi le responsabilità di quanto ha fatto. Mi dispiace, ma l'atteggiamento che Doni ha tenuto nei confronti di tutto il popolo atalantino non è stato da persona fiera, degna e rispettosa, come lo sono tutti i cuori che battono per l'Atalanta. Firmato Ilario».
«Sono deluso: Doni era un esempio per i giovani, orgogliosi di lui. Che vergogna per la società e per tutti. Firmato Erminio».
«Il fatto sconcertante è che per anni si è difeso un personaggio dai connotati così poco chiari, facendone una bandiera di una squadra e di una città, e un esempio per migliaia di ragazzini che indossano la stessa maglia. In altre città tali personaggi sarebbero stati allontanati per molto meno. Firmato G. Valori».
La percentuale si è ribaltata: sei mesi fa nove avvocati difensori su dieci, adesso uno su dieci. Un cambiamento brutale, un risveglio choc. Soltanto poche sere fa, Bergamo Tv aveva messo all'asta - benefica - le maglie dei giocatori: neanche a dirlo, quella di Doni risulta la più pagata. Per dire che cosa significhi adesso l'arresto all'alba con tentativo di fuga. Col passare delle ore, il partito dell'orgoglio orobico, monolitico e indomito a difesa del capitano, è in rapido dissolvimento. Resistono in trincea soltanto gli ultrà più irriducibili: per loro, tutto quello che sa di polizia, giustizia, legge ha già un pessimo aroma a prescindere, figuriamoci in questo caso. Ancora una volta, a guidare la resistenza nerazzurra è Daniele Belotti, originario della curva, ora addirittura assessore leghista all'urbanistica della Regione Lombardia: «Io non volto le spalle al capitano». Per lui, politico navigato, è già tutto chiaro dall'inizio: Doni e l'Atalanta sono vittime di un complotto. C'è un sacco di gente, in giro per il mondo, che non vede l'ora di far del male a Bergamo.
Quanto alla squadra, ha scelto di barricarsi nel centro di Zingonia, allenandosi a porte chiuse per la fondamentale partita di domani col Cesena. L'idea che la nuova ondata di arresti possa sfociare in una nuova penalizzazione, legata a Padova-Atalanta dell'anno scorso, è una penosa prospettiva per chi già pregustava uno sconto sul meno 6 del precedente processo. Il Gip sostiene che per quel pareggio sono entrati in gioco direttamente i club, c'è il terrore che non ci si possa più risvegliare dall'incubo.
Eppure nessuno, in squadra e in società, esattamente come in curva Nord, che abbia mai osato dubitare di Doni. Sin dal primo giorno si sono scagliati, giustamente, contro chi emetteva frettolosi verdetti di condanna.

Il problema è che non hanno mai spiegato come facciano loro a emettere sempre e comunque, solo e a prescindere, verdetti di assoluzione.

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