È assurdo morire per un terremoto di quell'intensità, dicono geologi e sismologi. E in noi - che sappiamo di poter morire in qualsiasi momento e quasi in ogni luogo per lo stesso motivo monta una rabbia impotente. Ci sdegniamo, davanti al televisore e nei commenti con gli amici, poi cediamo ai problemi quotidiani e alla dimenticanza. Nel frattempo - vivendo in un Paese che crolla, in molti sensi - è giocoforza cercare motivi di consolazione.
Ci conforta, per esempio, la solidarietà della gente (non quella rituale e da addetto stampa dei politici); ci consolano anche il coraggio e la tenacia dei vigili del fuoco, che mentre l'Italia brucia e frana spengono incendi e sollevano pietre notte e giorno per salvare una vita. Ma il vero eroe di questa tragedia, la nostra consolazione e la nostra speranza, è Ciro, il bambino di 11 anni che ha avuto l'intelligenza, la sapienza e la prontezza di spirito di spingere il fratellino sotto il letto, e di proteggersi con lui mentre il mondo gli crollava addosso.
Si vanno a cercare le parole di Benedetto Croce, che nel luglio del 1883, diciassettenne, quasi morì proprio a Ischia, proprio per un terremoto. Lui non fece in tempo a salvare nessuno, sua madre, sua sorella, suo padre morirono. Si svegliò sepolto, un gomito e un femore rotti, e come Ciro venne estratto dalle macerie, dopo molte ore, dai soldati. Se così non fosse stato, l'Italia avrebbe perso, prima ancora di averlo, uno dei suoi più grandi pensatori degli ultimi secoli, lo si ami o no.
Forse Ciro non sarà un italiano illustre e geniale, ma è ugualmente lui la nostra consolazione, perché rappresenta bene lo spirito di un popolo che in mezzo a ogni difficoltà oppressioni e pessimi governanti, invasioni e miseria è sempre riuscito a cavarsela. Non grazie allo «stellone», come si dice, lo stellone è una questione di fortuna: grazie all'intelligenza individuale che batte l'ottundimento generale, allo spirito di intraprendenza che batte il lento procedere collettivo. È l'Italiano, individuo, che sempre batte gli Italiani, popolo.
E a tutti noi individui, Ciro, il tuo grande compagno di sventura regala un pensiero scritto da vecchio, certamente ricordando l'esperienza tragica che avete vissuto in comune:
«...
e su questo terreno, traballante a ogni passo, dobbiamo fare il meglio che possiamo per vivere degnamente, da uomini, pensando, operando, coltivando gli affetti gentili; e tenerci sempre pronti alle rinunzie senza per esse disanimarci». (Taccuini, marzo 1944)@GBGuerri
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