Cronache

"Un’ alluvione a Firenze? Più devastante del ‘66"

La voragine del Lungarno rende più vicino e non così apocalittico un dossier depositato già da alcuni mesi in Toscana

"Un’ alluvione a Firenze? Più devastante del ‘66"

L’esposizione di Firenze ai rischi di un’alluvione che potrebbe essere devastante “risulta inaccettabile”, sia per “il rischio di perdite di vite umane” sia “per il valore dei tesori d’arte che la città ospita”. Sembrava una previsione troppo allarmistica, lontana ed evocativa di tragedie impossibili, invece il crollo di duecento metri del lungarno a Firenze di mercoledì rende più vicino e non così apocalittico un dossier depositato già da alcuni mesi in Toscana. Autore del rapporto è il Comitato tecnico scientifico internazionale che collabora nel ruolo di consulente con “2016 Progetto Firenze”, un’iniziativa che coinvolge più istituzioni e nata in vista della ricorrenza del mezzo secolo dalla grande alluvione. Il 4 novembre del 1966 la città gioiello fu oltraggiata dall’esondazione dell’Arno e le immagini degli angeli del fango, una generazione venuta in soccorso della città, fecero il giro del mondo. Il crollo dell’alba del 25 marzo lungo l’argine fiorentino ha a che fare non con il fiume ma con i tubi dell’acqua. Errore umano, dice il sindaco, la Procura indaga, ma rimane il lavoro di ricognizione dell’Itsc, presieduto dal professor Gerry Galloway, dell’Università del Maryland, affiancato da studiosi delle università di Vienna, Illinois, Bologna, Firenze e dell’Accademia dei Lincei, e le cui conclusioni sono state segnalate nell’autunno del 2015, e ricordate in un recente convegno all’Accademia dei Georgofili dal titolo “L’Arno fa ancora paura?”, che si è svolto il 16 maggio, nove giorni prima della mattina di paura lungo l’argine.

“L’ITSC desidera ribadire” esordisce il dossier del comitato tecnico internazionale, che “Firenze rimane ad elevato rischio di alluvione e che questo rischio cresce ogni giorno. Il problema non è se un’alluvione di pari entità o superiore a quella del 1966 colpirà ancora la città di Firenze, ma quando ciò accadrà”. Ecco cosa si nota della struttura degli argini: “ Il livello di protezione attuale non assicura una riduzione del rischio di inondazione a livelli commisurati al valore di una città quale Firenze, permanendo una forte esposizione che risulta inaccettabile, sia per il rischio di perdite di vite umane sia per il valore dei tesori d’arte che la città ospita”. L’Itsc ricorre a un aggettivo senza attenuanti riferito alle possibili conseguenze di un’eventuale nuova alluvione: “catastrofiche”. Nelle conclusioni del rapporto consegnato si sottolinea come la popolazione di Firenze dagli anni ’70 in poi sia diminuita, ma come, al contrario, “la densità di insediamento nelle aree a rischio è cresciuta”. E dunque “se, in queste condizioni, un evento del tipo di quello del 1966 dovesse accadere di nuovo, le conseguenze per le vite umane, il patrimonio artistico, gli immobili e le infrastrutture sarebbero ben più catastrofiche di quelle che si realizzarono nel 1966”. Essendo comunque anche cresciuta la città come polo di attrazione turistica “è inoltre importante essere consapevoli del fatto che i tempi e le risorse che sarebbero necessari alla città per superare lo shock di un’altra alluvione sarebbero molto maggiori rispetto al passato e pertanto il danno economico per la città perdurerebbe a lungo”. Il comitato cita quanto era stato previsto dal “Piano riduzione del rischio idraulico” del ’99, in cui si indicava che “per raggiungere sufficiente protezione da un evento alluvionale quale quello del 1966 potrebbe essere necessario invasare nel bacino del Fiume Arno un volume dell’ordine di 350- 400 milioni di m3, di cui circa 200 milioni di m3 a monte di Firenze”.

Vengono però definiti non lineari, in quel documento, i numeri sulla capacità di deflusso dell’Arno in sicurezza: “L’Itsc desidera porre in evidenza la notevole incertezza che caratterizza le stime ad oggi disponibili per le portate transitabili in sicurezza nel centro cittadino”, che andrebbero di conseguenza riviste e perfezionate. Altro problema: “La pianura a valle delle dighe di Levane e La Penna, che veniva naturalmente inondata in occasione dalle piene, non risulta più disponibile a questo scopo essendo ora protetta da argini”. Ancora: quattro misure previste dal piano di riduzione del rischio idrogeologico sarebbero dovute essere completate entro 15 anni, ma questo non risulta che sia stato fatto. Nel 2005, si segnala, il “Piano stralcio per l’assetto idrogeologico” ha provveduto a una “mappatura della pericolosità idraulica nel bacino”. Ma manca un’analisi dettagliata del rischio reale, e “il risultato è che il centro urbano della città di Firenze non ricade tra le aree a rischio elevato o molto elevato, sebbene le perdite economiche che si avrebbero a seguito di un’alluvione quale quella del 1966 siano state stimate nello stesso PAI dell’ordine di 15.5 Miliardi (escludendo le vite umane ed il patrimonio artistico)”. Un terzo piano del 2015, quello di “gestione del rischio alluvioni”, ha portato “alcune modifiche che tuttavia non sembrano dettate dalla necessità di proteggere aree di enorme valore come Firenze”, ribadendo alcuni interventi del resto già previsti dai piani precedenti. I tre progetti, quelli del ’99 del 2005 e del 2015, non sarebbero ancora riusciti a mettere in sicurezza la città di Firenze. L’avanzamento del progetto “di implementazione delle casse di espansione nell’area di Figline”, aggiunge quindi il Comitato tecnico internazionale, è positivo, ma ritardato da lungaggini burocratiche non accettabili in situazioni di possibile emergenza come quella fiorentina. L’Itsc ribadisce quindi “la sua preoccupazione sulla mancanza di dati idraulici affidabili relativi alle stazioni di misura nel bacino dell’Arno. In particolare, le scale di deflusso risultano spesso non affidabili e ciò impedisce un’adeguata validazione delle capacità predittive dei modelli idrologici e idraulici”. I cittadini di Firenze si ritiene che “abbiano consapevolezza dell’esistenza di un rischio di esondazione del Fiume Arno”, ma quello che manca è “una piena conoscenza della potenziale gravità di un tale evento.

Appare quindi indispensabile, per la sicurezza dei cittadini stessi, che i diversi Enti nazionali, regionali e locali lavorino insieme per diffondere la necessaria cultura del rischio. Il comitato auspica quindi l’apertura di “un museo permanente dedicato alla storia dell’alluvione”, perché la memoria è importante tanto quanto le misure di protezione, che comunque scarseggiano: “L’Itsc riconosce l’importanza della città di Firenze oggi per i suoi cittadini, per l’Italia ed il mondo. Sottolinea il significativo rischio di inondazione che permane e l’esiguità delle azioni che sono state realizzate per contrastare la minaccia di un catastrofico evento alluvionale”. Secondo il presidente del Centro Studi Emergenze, Salvatore Arca, “non è più procrastinabile la realizzazione di casse di espansione ed è urgente porre mano ad alcuni interventi nelle dighe di Levane e di La Penna, presenti lungo il corso del fiume nel Valdarno Superiore”. E’ quindi “assolutamente prioritario – ha scritto Arca in un recente intervento, e ha ribadito al convegno sull’Arno dei Georgofili - che la pianificazione territoriale tenga conto della minaccia di una possibile esondazione, escludendo pertanto in maniera categorica l'occupazione di aree esposte al rischio alluvionale.

E' questa una raccomandazione che in passato è stata ripetutamente disattesa”.

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