Conte si iscrive al Pd, il mostro può partire

Sbloccata la trattativa fra dem e M5s. Cresce l'ipotesi Fico premier

Conte si iscrive al Pd, il mostro può partire

La mossa di Giuseppe Conte ieri ha ridato fiato ai governisti di Pd e Cinque Stelle, e costretto il segretario del Pd Nicola Zingaretti, scettico sull'intesa a fare una contromossa, proponendo un nome grillino: «Su un premier come Roberto Fico si potrebbe ragionare».

Un modo per dimostrare che ce la sta mettendo tutta, nonostante il niet contro la riedizione di Conte. Ma anche - sospettano in molti nel Pd - per mettere zizzania nel campo pentastellato (dove con Fico premier Di Maio farebbe harakiri) e rendere ancor più complicata la formazione di una maggioranza giallorossa.

Il premier uscente (e aspirante rientrante), dal G7 di Biarritz, ha chiuso senza mezzi termini il famoso secondo forno leghista: «Una stagione chiusa e che non si riaprirà», quella del fidanzamento Salvini-Di Maio. Parole che, in una giornata di sostanziale stasi sul fronte «nuovo governo», a parte abboccamenti telefonici non conclusivi tra i leader, hanno fatto rumore, e rilanciato la sua candidatura a premier per ogni stagione.

Ma a nome di chi parla, ci si chiedeva in casa Pd? A nome di Grillo, di Casaleggio, di quell'establishment europeo di cui gli piace sentirsi finalmente parte, del partito grillino, di sé medesimo e basta? A nessuno è chiaro: l'unica cosa che i dirigenti del Pd hanno capito è che nei Cinque Stelle regna il caos più totale, e in genere ognuno parla solo pro domo sua: Gigino Di Maio, interlocutore ufficiale di Zingaretti, non parla ad esempio con Conte, che pare gli abbia tolto il saluto. «Del resto, il nome di Conte ce lo ha messo sul tavolo con tutta l'aria di volerlo solo bruciare», dicono i dem, convinti che fosse per lui, tornerebbe di corsa da Salvini, che lo titilla con la premiership. Roberto Fico, gran fautore dell'accordo con il Pd, è attivissimo e fa molte telefonate ai parlamentari grillini in fibrillazione che sperano di mantenere lo stipendio e lo incitano a trattare col Pd, ai dem per dire loro quanto si è sempre sentito di sinistra e alle redazioni dei giornali, con un obiettivo ben chiaro in testa: fare il premier lui. Il dem Dario Franceschini ne sostiene la candidatura, che libererebbe la prestigiosa poltrona di Montecitorio. «Io premier?», finge di stupirsi il diretto interessato. «Non lo so. Amo il mio ruolo e mi piacerebbe mantenerlo».

Nel Pd, peraltro, non mancano divergenze e sospetti, per usare un eufemismo. I renziani, che hanno subito applaudito le dichiarazioni di Conte giudicandole un «aiuto» alla trattativa, sono pessimisti: «A tenere le fila del dialogo ufficiale sono Zingaretti, che vuol andare al voto, e Di Maio, che vuole andare dalla Lega: un combinato disposto micidiale». Non a caso, mentre il Nazareno dopo le parole di Conte taceva («Per noi non cambia nulla e il nostro interlocutore resta Di Maio») Matteo Renzi, sempre attivissimo dietro le quinte, lancia un appello a far «prevalere la responsabilità», ora che «Salvini è quasi ko».

A sera, Zingaretti, dopo un summit in casa di Luigi Zanda con lo stato maggiore (Gentiloni, Franceschini, Minniti, Orlando, Fassino, Cuperlo eccetera) fa lanciare l'ipotesi Fico: «È un nome nuovo, estraneo al governo precedente: lui potrebbe rappresentare la discontinuità che chiediamo». Il ragionamento viene esposto anche al Quirinale, dove attendono per mercoledì una risposta definitiva sul governo e dove - secondo i bene informati - si nutrono molti dubbi sulla adeguatezza al compito di Fico. E Conte? «Può fare il commissario Ue, incarico che dura cinque anni, più della durata media di un premier. Oppure il ministro dell'Interno», replicano tra il serio e il faceto gli uomini del segretario.

Fatto

sta che Zingaretti restituisce così il cerino ai Cinque Stelle. «Che ovviamente non apprezzeranno - chiosa un renziano assai pessimista sulle intenzioni del segretario dem - che qualcuno pretenda di scegliere in casa loro».

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