Prima di metà luglio sarà difficile, se non impossibile, trovare un manager che sostituisca Federico Ghizzoni alla guida di Unicredit. Vengono alla mente le lamentele che un paio di azionisti rivolsero alla «Zuppa» di inizio gennaio. Ci limitammo, unici, a riassumere un pezzo del Financial Times. La giornalista inglese diceva che se i conti di Unicredit non fossero migliorati decisamente, gli azionisti avrebbero preteso le dimissioni di Ghizzoni e lo avrebbero fatto diventare presidente. Noi traducemmo il pezzo, chiedendoci quale azionista influente avesse informato il foglio della City e allo stesso tempo quale altro gruppo di azionisti avesse preteso, e ottenuto, che della vicenda non si occupassero i quotidiani italiani. Tutti muti. Per quanto ci riguarda successe un piccolo finimondo. Il succo delle piccate lamentele è che quel pezzo inglese e la nostra traduzione erano senza senso: Ghizzoni aveva appena approvato il piano industriale, tutti lo avevano condiviso e quale pazzo dopo solo sei mesi avrebbe tolto la spina all'elettrodomestico fresco di Trony? Passano i tre mesi pronosticati dal Financial Times, anzi un mesetto in più, e cinque azionisti (circa il 18 per cento del capitale) si presentano nella stanza di Ghizzoni. Ci sono Luca Cordero di Montezemolo (in rappresentanza degli emiri di Abu Dhabi), i tre potentoni delle Fondazioni (Palenzona, Biasi e l'amministratore delegato di Carimonte) e Caltagirone: «Caro Federico, nulla contro di te personalmente, ma non hai più la nostra fiducia». Boom. Assogestioni e Del Vecchio non erano presenti, ma condividevano. Insomma, finiva lì, dopo meno di due anni all'ultimo piano del grattacielo e dopo trenta a piazza Cordusio, la carriera di Ghizzoni.
E da quel momento iniziano i dolori e le sfortunate coincidenze. Partiamo da queste ultime. Il mercato sta andando giù come un sasso. Brexit non è solo una fantasia, ma rischia di diventare una realtà. La Bce, per sovrammercato, a metà luglio ritirerà in ballo i soliti stress test. Il Monte dei Paschi potrebbe aver bisogno dell'ennesima iniezione di capitale. E non potrà coincidere con quella che dovrà chiedere il nuovo ad di Unicredit. A ciò si aggiunga il presidente del Consiglio, Matteuccio Renzi, che finge di disinteressarsi di cose che non lo riguardano, ma che invece è sulla palla di tutti. In questo scenario Egon Zehnder, i cacciatori di teste, si presentano al comitato nomine di Unicredit con la lista della spesa: dieci potenziali sostituti di Ghizzoni. E da quel giorno inizia il pissi pissi. Mettiamone in fila qualcuno, tanto per divertirci.
Super candidato è: Carlo Messina by Banca Intesa. Bella idea, molti azionisti sarebbero entusiasti e qualcuno avrebbe avuto la faccia tosta (si può dire?) di contattarlo (sondarlo, si scrive in questi casi) direttamente. Otterrebbero due piccioni con una sola fava. Si sbarazzerebbero di un concorrente che gli sta facendo un mazzo così e si prenderebbero un banchiere che fino ad ora non ha sbagliato un colpo. Esattamente il processo speculare e opposto che capitò all'Intesa di Cucchiani che silurò Castagna e che oggi se lo trova come concorrente con il coltello in bocca alla Popolare di Milano. Una battuta che circola a Milano e che riprende un vecchio scoop del Sole24Ore, poi dimenticato in fretta, è che semmai Messina Unicredit se la compra. Gaetano Micciché, fresco di promozione alla guida di Banca Imi, si diverte ancora a fare il banchiere delle imprese, ma in molti lo tirano per la giacchetta. Anche Messina, che ha fatto sapere che sta bene dove sta.
Candidato politico: Corrado Passera. Beh, non proprio politico, o meglio neopolitico. Ha una partita aperta con la giustizia per la storia Olivetti, ma a metà luglio si potrebbe sapere qualcosa di più su come finirà. Ha una squadra là pronta a muovere, ben più decisa e con esperienza di quella elettorale. Agli inizi del 2000 arrivò in Banca Intesa e la rivoltò come un calzino. C'è chi sogna che si possa ripetere.
Candidato assicurato: Carlo Cimbri. Di mestiere fa l'assicuratore ed è riuscito nell'impresa impossibile di mettere insieme Unipol, l'assicurazione rossa, con quella dei Ligresti. Sponsor allora dell'operazione, come lo sarebbe oggi per la banca, è la Mediobanca di Alberto Nagel. A proposito, anche quest'ultimo nell'elenco telefonico di Egon Zehnder. Cimbri ha detto che sta bene dove sta, ma questo lo dice anche Babbo Natale il 24 dicembre, poi sbuca dal camino.
Candidati fighetti. Qua i nomi non li facciamo, ma sono tutti quelli che hanno lavorato nelle grandi e blasonate case di investimento internazionali. Parlano l'inglese meglio dell'italiano e anche di Cimbri, ma non hanno mai visto uno sportello in vita loro. È vero che oggi li devono vendere, ma conoscerli non sarebbe male. Non piacciono a Caltagirone che qualche peso nella scelta ce l'ha. E che ha detto, per non farsi capire, che vuole un candidato retail. Vortice di chiamate tra i banchieri in corsa: da due settimane non si è parlato d'altro: «In che senso retail?» al modo di Verdone, quando scandendo bene la frase, alzava gli occhi al cielo.
La morale, sì ce ne è una, è che Penati in fondo non aveva tutti i torti: qua più che l'amministratore si dovevano licenziare gli azionisti. E pensare che uno di loro (Unicredit) proprio per le sue cappellate (sottoscrivere la garanzia di Popolare di Vicenza) è diventato azionista forte dell'Atlante guidato proprio da Penati.
Si consiglia visione della
soap sudamericana «Il Segreto». In onda in prima serata su Canale 5. Buoni spunti per le trame, le ricerche e le sostituzioni nella finanza che conta in Italia. E se richiamassero Mario Greco? Vabbé adesso non esageriamo.
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